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SACCHETTI VERDI. DIFESA DELL’AMBIENTE O DEI PROFITTI?

«Mi ricordo montagne verdi e le corse di un bambina» cantava Marcella Bella in una canzonetta d’antan. Chissà se i sacchetti biodegradabili ci restituiranno il verde di quelle montagne? Comunque, le polemiche che si sono scatenate nei giorni scorsi sull’argomento, infime nei contenuti, sono invece molto istruttive per altri motivi.
Prima di tutto, per il modo con cui sono state gestite dai mezzi di comunicazione di massa che ne hanno fatto la solita arma di confusione e di “distrazione di massa”. Come è stato sottolineato, sembra che il mater-bi abbia fatto dimenticare a molti la crisi e la disoccupazione, lo sfruttamento del lavoro e la povertà crescente, la devastazione dell’ambiente e dello stato sociale, le guerre striscianti e via elencando.
In secondo luogo, la vicenda dei sacchettini biodegradabili, che pare non siano poi tanto tali, spiega molto bene come funzioni la tanto decantata “libertà” del mercato. Prima, il mercato ha fatto sparire quasi tutto quello che da secoli si usava per il commercio al dettaglio: sporte, canestri, cassette, contenitori di vetro, sacchetti di carta, carte oleate o da zucchero, ecc. Quindi, c’è stato lo sviluppo abnorme e incontrollato del packaging, i materiali da imballaggio che il consumatore paga una prima volta alla cassa e poi una seconda volta con la bolletta dei rifiuti e quindi una terza volta sulla propria pelle con i costi dell’inquinamento. Infine, è arrivato il bio shopper, di cui il sottile sacchettino di mater-bi è il principino indiscusso. Una tecnologia accattivante perché, insieme alle materie prime rinnovabili di cui è in parte formato, col bio-sacchettino ti vendono pure l’ideologia “eco”, la panzana della green economy e, soprattutto, l’illusione del “rispetto” dell’ambiente. E chi è così senza cuore da non portare almeno un po’ di rispetto a questo grande ammalato della globalizzazione?
In realtà, nel mercato capitalistico niente è gratuito e quindi anche il “rispetto dell’ambiente” si paga. Esattamente come i sacchettini di plastica che i consumatori hanno SEMPRE pagato. Fino allo scorso dicembre, il loro costo non si vedeva perché era spalmato su tutti gli acquisti. Dall’inizio di quest’anno, il loro prezzo è separato, in chiaro ed esplicito per effetto della legge n. 123, approvata, come molte leggine di questo genere, quando i “consumatori” sono distratti dalla canicola estiva, il 3 agosto 2017. «Ce l’ha chiesto l’Europa», si è maldestramente giustificato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, ma nessuno ci crede, perché non è vero.
Chi ci guadagna? Non c’è dubbio alcuno: poco o niente l’ambiente; moltissimo la Novamont di Novara, che monopolizza il mercato del mater-bi, a questo punto imposto per legge per quei contenitori che prima potevano essere realizzati con altri materiali. E dietro la Novamont troviamo i soliti noti e strenui difensori dell’ambiente: ENI, Intesa Sanpaolo e la Melville, una holding di proprietà di una società che ha sede in Lussemburgo, l’europaradiso fiscale (il che vuol dire che lo stato italiano non incasserà nemmeno i proventi delle imposte). Così Novamont si è trovata nell’occhio del ciclone delle critiche, ma c’è da dire che ha trovato subito dei prodi e vigorosi difensori. Primi gli industriali novaresi che hanno espresso la loro solidarietà incondizionata all’Ad di Novamont, Catia Bastioli, bersaglio di attacchi «indegni di un paese civile». Chissà perché lor signori i padroni si ricordano dell’inciviltà di questo paese solo in casi come questi, come se nelle loro aziende i lavoratori fossero trattati coi guanti della massima civiltà. Il secondo è stato il sindacato di chimici, tessili ed energia della CGIL, la Filctem che considera Novamont nientepopodimeno che un «campione internazionale indiscusso sul fronte della ricerca e di nuovi brevetti». Bum! Il terzo paladino è stato Renzi in persona che ha parlato di una «strumentalizzazione disgustosa». Fu proprio l’ex capo del governo, che non scende a certi livelli ed è sempre ispirato dal buon gusto, a mettere la Bastioli a capo di Terna, il colosso europeo che gestisce 72 mila km. di rete elettrica, che paghiamo con le nostre bollette, le più basse d’Europa. Del resto, nel suo recente, e poco felice, tour preelettorale, dove si è fermato Renzi quando è sceso a Novara? Naturalmente, dalla Catia alla Novamont dove è giunto col suo treno speciale verso le 18.40 del 15 novembre scorso per ripartire per Mortara, dove lo attendevano… i risaioli della Lomellina, alle 20.30. Dunque, una bella armata brancaleone: industriali, CGIL e governo, tutti insieme appassionatamente a difendere l’ambiente.
In definitiva, la green economy produrrà pure ecoprofitti, ma il suo colore vero rimane sempre quello di ogni altro profitto del capitale. Anche una parte del ceto politico che, non si sa perché, continua a usurpare il nome di sinistra, si è adeguato e ha cambiato tinta: un green che richiama il colore delle tasche dei proletari.

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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