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Gianluca Buonanno nel 2015 in Libia

Dopo la recente sconfitta elettorale, aveva intonato la ribeba della riscossa, promettendo di «stringerci per il partito» e di «sfruttare tutte le occasioni valide per far crescere le nostre valli». E non si può certo dire che manchi di fantasia. Infatti, a partire dal prossimo 22 marzo, decollerà il «corso gratuito di autodifesa per persone dai 16 ai 65 anni residenti a Quarona» offerto dal locale sindaco leghista. Basta con le lamentele e inutili manifestazioni: qui ci vogliono robuste pedate e sonori schiaffoni! Però, che siano… «educativi». Così è scritto su di un paginone di giornale. Il sindaco, che ci mette la faccia e vi compare a mezzobusto con tanto di fascia tricolore, avverte che la violenza sarà indirizzata «contro squadristi anarchici» e contro «tutti i totalitarismi, le anarchie e le delinquenze». Pare infatti che i valsesiani non abbiano altri problemi e non ricevano ogni giorno gli schiaffi della disoccupazione, del lavoro nero, dello sfruttamento, della devastazione ambientale, della povertà, né che le famiglie proletarie non ce la facciano più, che il sistema sanitario sia allo sbando e via cantando. La valle sarebbe un paradiso se non ci fossero tutti quegli squadristi! Il che non è del tutto falso. Infatti, cento anni fa, a Quarona operava una delle più sanguinarie squadracce fasciste, il branco dei cosiddetti “lupi della Valsesia”. Quanto agli anarchici, in Valsesia, venivano mandati al confino, come il povero Pietro Calcagno, un fornaio di Fontanetto Po, morto poi a Roma nel 1906. Infine, numerose furono le belve del totalitarismo, i nazisti e i loro servi della Tagliamento e delle brigate nere che, tra il 1943 e il 1945, insanguinarono quelle montagne e la stessa Quarona e che furono cacciati dai garibaldini con mezzi più persuasivi dei ceffoni e dei calci. Insomma, la gagliarda schiera dei rudi sindaci-sceriffo conta una nuova recluta scalpitante per conquistare lo scranno dell’ex deputato Paolo Tiramani. Non è difficile scorgere dietro a tanta volgarità del potere la scuola del fu europarlamentare valsesiano Gianluca Buonanno, solito esibirsi con pistole e fucili mitragliatori e a snocciolare una serie infinita di gag, trovate e sceneggiate destinate, ieri come oggi, a riempire le pance di fan e follower ma anche a mascherarne l’abissale vuoto civile, morale e politico.

Il gioiello americano liberista si risveglia con la protesta popolare. Panama e la sua città capitale, il gioiello dell’America liberista e liberale agli occhi dei visitatori occidentali, si è ritrovata, nel mese di luglio e nell’appena trascorso mese di agosto, per la prima volta, bloccata da scioperi imponenti di dimensioni massive mai viste nella storia del Paese centro americano. A scendere in piazza sono stati studenti, docenti, medici, operai e contadini e comunità indigene bloccando la Carretera Interamericana, la principale arteria di comunicazione della America Centrale. La situazione del paese è grave. Vi sono stati aumenti insostenibili dei prezzi di generi alimentari, medicinali, carburanti; lo sfruttamento indiscriminato del territorio e delle sue risorse da parte delle multinazionali; una corruzione e clientelismo sistemico del governo in carica dal 2019 di Laurentino Cortizo. Eppure questa “oasi dorata” della dorsale andina risulta ancora dai dati economici in crescita, dovuta anche al totale controllo del canale di Panama avvenuto nel 1999. La società si fonda su una profonda e strutturata frattura fra la classe dell’élite economiche internazionali e la popolazione locale. Sotto l’egida opprimente e onnipresente degli USA, i governi panamensi vassalli hanno costruito un modello di autofinanziamento basato sulla trasformazione del sistema bancario in un paradiso fiscale, e sul progressivo e intenzionale deterioramento delle istituzioni statali aumentando il divario fra ricchi e poveri. Il paese è divenuto un centro di accumulo di ricchezze per l’élite economiche che hanno una caratteristica: non sono latifondisti di discendenza coloniale, ma sono arrivate dall’Europa e dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale. È il capitale straniero a governare il paese e lo stato servile lo favorisce e sostiene attraverso appalti, agevolazioni fiscali e leggi sul lavoro che garantiscono lo sfruttamento e la rapina delle risorse naturali. A luglio, hanno iniziato la protesta i docenti della scuola a cui era stata negata da parte del governo l’applicazione della legge 47 che prevedeva di destinare all’istruzione il 6% del Pil. Dopo 72 ore di sciopero degli insegnati, si sono uniti diversi settori sociali protestando contro il caro vita e l’aumento delle medicine. Il salario medio a Panama varia fra i 300 e 350 dollari. Poi, dalla metà di luglio, sono scesi in piazza e nelle strade della capitale i movimenti indigeni con rivendicazioni specifiche contro i latifondisti e le multinazionali straniere. Dalla regione del Darien al confine con la Colombia, si sono mosse le comunità Gunadule e Embera contro la deforestazione selvaggia. Dalle montagne ad ovest del paese, sono giunte le popolazioni Ngobe contro le multinazionali del settore idroelettrico che, con i loro progetti, mettono a rischio la sopravvivenza delle comunità. Con la loro lotta hanno smascherato il sistema di connivenze e corruzione fra le multinazionali dell’idroelettrico e il potere governativo che ha tolto per legge qualsiasi vincolo di protezione ambientale. Il caso Odebrecht – il più grande scandalo di tangenti dell’ultimo decennio in America Latina con indagato il presidente della Repubblica Riccardo Martinelli – aveva messo in evidenza un sistema ben oliato e funzionante che ancora oggi non è stato sradicato. La mobilitazione indigena ha dato un impulso importante per il proseguimento della lotta anche nel mese di agosto. La risposta del governo, il PRD che è al potere dal 2019, non si è fatta attendere. Bastone e carota come nella più grave e drammatica consuetudine dei paesi capitalisti del continente americano. Decine di feriti e apertura di trattative con i dimostranti che hanno ottenuto di calmierare i prezzi dei generi alimentari, delle medicine e della benzina. In cambio, la protesta ha momentaneamente liberato dai blocchi la Carretera Interamericana. Mesi di fuoco nella vetrina liberista del centro America, dove crescono disuguaglianze, povertà e sfruttamento grazie al peso degli Usa. Dopo la dittatura di Manuel Noriega dal 1983 al 1989 sostenuta sempre dagli yankee, dopo quegli anni di terrore e pesanti violenze ci furono silenzio, paura e sottomissione. Ma qualcosa covava sotto l’apparente tranquillità. Ora i palazzi e i grattacieli di Panama city sono circondati dai manifestanti delle periferie che hanno rialzato la testa. Il popolo di Panama si risveglia, protesta e lotta. Con la speranza che non sia solo un’estate di forti manifestazioni e scioperi, ma l’inizio di una vera rivoluzione sociale e politica che ridia dignità al popolo e a un continente intero.

Alfredo Perazza

La vergogna poco nascosta del nostro lusso. Un comparto economico importante per la ex Birmania e per la giunta militare al potere con il colpo di stato del 24 febbraio 2021, è il settore tessile e abbigliamento. Nelle aree industriali del paese asiatico, aziende a prevalenza di capitale cinese, con apporti di quello thailandese, birmano e indiano, lavorano per 61 brand europei della moda e del lusso, pagando regolarmente le tasse alla giunta militare golpista. La UE conosce perfettamente la situazione. Le commesse arrivano da Adidas (Germania), Zara e Bershka (Spagna), C&A (Paesi Bassi), Only e Ver Moda (Danimarca), Kiabi (Francia), Primark (Irlanda) HeM (Svezia). Non mancano i brand italiani, quali OVS, abbigliamento uomo, donna e bambino (pare abbia annunciato il suo ritiro dal paese); Proxima, abbigliamento protettivo; Love Moschino, abbigliamento e accessori; e Liu Jo, abbigliamento, scarpe, borse donna ecc, che invece rimangono candidamente a fare i loro sporchi interessi con le produzioni affidate alla Hesheng Myanmare. Solo due aziende italiane Benetton e Geox hanno da tempo lasciato il paese. Sporchi interessi del lusso europeo in un paese che ha militarizzato le aree industriali del settore tessile, dove è imposta la legge marziale e chi si azzarda a protestare viene denunciato e processato al tribunale militare. Naturalmente nell’indifferenza e compiacimento dei marchi occidentali. I sindacati sono fuori legge e sui dirigenti pende il mandato di cattura. Tutte le organizzazioni solidali con i lavoratori sono clandestine. Le condizioni nelle fabbriche sono di schiavitù: almeno 60 ore settimanali, straordinari obbligatori e spesso non retribuiti, e con € 1,78 al giorno, il tutto giustificato con «meglio schiavo che disoccupato».  I diritti delle lavoratrici e dei lavoratori birmani non sono certo nell’agenda della Commissione europea, pronta a sanzionare tutti, ma non a interrompere le preferenze commerciali a favore del Myanmar e della sua giunta attraverso gli accordi SPG e EBA. Evidentemente interessa di più salvaguardare i profitti dei “nostri” brand del lusso, piuttosto che la vita di milioni di lavoratrici e lavoratori birmani. Il Parlamento europeo, a dire il vero, a larghissima maggioranza aveva votato la sospensione di quegli accordi, ma la burocrazia europea è talmente lenta che quella deliberazione non è mai divenuta operativa. Miracoli del lusso. Allora la UE ha sanzionato 65 persone vicine o componenti della giunta militare, congelando i loro beni. Effetti, zero. Nessuna ricaduta sul comparto tessile. Invece a dir poco scandaloso e vergognoso il comportamento, certamente per interesse e complice dello schiavismo, dell’ambasciatore UE in Myanmar l’italiano Stefano Sannino. Infatti contraddicendo le decisioni seppure formali della UE, ha fatto pressioni su un marchio spagnolo affinché non lasciasse il paese. Inoltre, non contento, Sannino ha attaccato pubblicamente le iniziative di protesta degli attivisti per i diritti sindacali in Myanmar contro i brand della moda tenutesi recentemente a Londra. Il silenzio della UE è assolutamente evidente. La consegna è non nuocere ai padroni e ai militari, garantendo il profitto dei brand del lusso. Da più parti del paese sono giunte denunce documentate di abusi, violenze fisiche e psicologiche ai danni delle donne e degli uomini e della loro condizione di schiavi del telaio nelle industrie del tessile e dell’abbigliamento. Nel XXI secolo, nel nostro luccicante mondo occidentale, non interessa lo schiavismo, la distruzione dell’essere umano, delle lavoratrici e dei lavoratori. L’importante è conservare e aumentare il profitto. Quando riusciremo a far conoscere e denunciare queste disumane condizioni di sfruttamento, forse potremo sperare nella ripresa delle coscienze e della solidarietà di classe fra i lavoratori di tutto il pianeta.

Alfredo Perazza

Si vota il 4 settembre per la nuova Costituzione. Il «rechazo» (rifiuto) della nuova Costituzione nei sondaggi sopravanza l’«apruebo» (approvo) oramai da qualche mese, seppur nell’ultima settimana vi sia un recupero dei Sì. Il divario però rimane importante. In Cile è da ormai un decennio, con il consolidarsi del processo democratico, che la società civile chiede di togliere la costituzione fascista di Pinochet del 1980, più volte modificata, ma ancora in vigore. Il 2019 fu un anno di imponenti manifestazioni di protesta in Cile, obbligando il Parlamento a trovare un accordo, firmato il 15 novembre, che ha posto le basi per l’inizio del processo di una nuova Costituzione. Il popolo cileno ha avviato il percorso per una nuova Carta con un plebiscito all’80% dei consensi favorevole alla realizzazione della nuova Carta nell’ottobre del 2020 e con l’elezione di 155 delegati, la Convenzione, deputati a scrivere la Costituzione, premiando candidati indipendenti lontani dalla casta politica e castigando le forze di destra pur presenti nella Convenzione. La reazione del potere e della reazione è stata da subito pesante. I delegati dei partiti tradizionali vicini al centro sinistra, Fruente Amplio, Partito Socialista legati alla ex Concertacion, favoriti dalla norma della necessità di approvare gli articoli con il 75% dei voti, si sono coalizzati con la destra per bocciare le proposte della sinistra radicale e sociale che, seppur con la maggioranza relativa, non venivano approvate. Lo scontro nella Convenzione e nel paese ha assunto toni sempre più accesi e aspri. I contrari a una Carta innovativa proposta dalla sinistra hanno avviato una campagna di discredito, di fake news, la classica propaganda falsa, usufruendo di voltafaccia di personaggi come l’ex presidente democristiano Frei, passato con i “rechazo”, a dispetto del suo partito e di contradditorie e ambigue prese di posizione dell’ex presidente socialista Lagos. I poteri forti che gestiscono e controllano l’informazione in Cile, un duopolio, hanno alimentato una campagna di fake news che vanno da: «la nuova carta ti porta via la casa» ad altre pesanti falsità a cui i promotori dell’“apruebo”, stentano a rispondere. La situazione sociale è peggiorata e il governo di sinistra di Boric che sostiene la Carta, salutato come una ventata di novità e di cambiamento, perde colpi e pezzi. Si sa, le difficoltà aiutano e molto ad andare dove tira il vento. I sostenitori della Carta in queste ultime settimane sono impegnati ad andare nei territori, nei quartieri e nei borghi per recuperare rapporto con il popolo spiegando le innovazioni anche importanti della nuova Carta in votazione il 4 settembre. Una Carta progressista, la prima al mondo scritta da una Convenzione con parità di genere, che si definisce ecologica, elaborata nel contesto del cambiamento climatico mondiale, che riconosce la natura come soggetto con diritti, che trasforma il Cile in uno stato sociale plurinazionale, con specifici diritti ai popoli indigeni, che pone le basi per l’aborto, la scuola e la sanità pubblica. Un paese, il Cile, con ancora molta nostalgia per Pinochet, con l’aquila imperialista americana sempre in agguato e molte contraddizioni. Solo l’approvazione di una nuova Costituzione può dare una svolta al paese. Il 4 settembre 2022, potrebbe diventare una data storica non solo per il Cile, che può liberarsi dell’ombra di Pinochet, ma anche per tutta l’America Latina che così dimostrerà di riuscire a fare i conti con il suo passato tragico e doloroso.

 

Nella mattinata di ieri, è scattata un’operazione di polizia che, con arresti, perquisizioni e intimidazioni, ha come scopi quelli di attaccare il sindacalismo di base e di criminalizzare il diritto dei lavoratori di lottare per sopravvivere e di ribellarsi alla condizione di vera e propria schiavitù salariata in cui si trovano in settori come, per esempio, la logistica. Proprio mentre, da pochi giorni, sono stati resi noti i dati che certificano come in Italia, unico trai paesi cosiddetti sviluppati, negli ultimi decenni i salari siano diminuiti (!!!), proprio mentre continua lo stillicidio dei morti sul lavoro, un governo succube e guerrafondaio scatena un’operazione che si propone di smantellare un altro pezzo dei diritti costituzionalmente garantiti. Contro questo attacco gli organismi di base hanno proclamato lo sciopero generale della logistica. Pubblichiamo il comunicato dell’USB nazionale e chiamiamo i lavoratori alla mobilitazione: «Misure cautelari e perquisizioni contro l’Unione Sindacale di Base e le lotte di classe: USB proclama lo sciopero generale della logistica. Giù le mani da USB! Nazionale, 19/07/2022 09:53 - Da questa mattina all’alba è in corso un’operazione di polizia su input della Procura di Piacenza nei confronti di dirigenti sindacali dell’USB e del Si Cobas della logistica. Con ben 350 pagine di ordinanza si costruisce un vero e proprio “teorema giudiziario” sulla scorta di un elenco interminabile di “fatti criminosi” quali picchetti, scioperi, occupazioni dei magazzini, assemblee ecc. Numerosi i dirigenti sindacali posti agli arresti domiciliari e le perquisizioni. ...continua a leggere "GIÙ LE MANI DAL SINDACALISMO DI BASE!"

Si avvicina ferragosto e, come l’esperienza insegna, si avvicina l’ora topica dei trucchi e dei colpi di mano governativi. Per quanto l’estate sia per i proletari più magra e sofferta a causa della guerra, dell’aumento dei prezzi e del peggioramento delle condizioni di vita, il governo Draghi e il ministro Gelmini contano sempre sull’effetto “distrazione” che i mesi estivi portano per far passare sottobanco il progetto di legge della cosiddetta autonomia differenziata. Queste due parole, incomprensibili come tutto il politichese della destra, nascondono una realtà molto semplice: lo smantellamento e la privatizzazione a livello regionale di quello che rimane dello stato sociale, della scuola, della sanità, delle tutele dell’ambiente e del lavoro, della cultura. Un vero e proprio invito a banchetto per amici, corrotti e corruttori, mafiette e consorterie locali, un banchetto imbandito non nei soliti palazzi dei bottoni di “Roma ladrona”, ma anche nei palazzotti dei governi regionali. In questo modo, si vorrebbe nascondere il miserabile fallimento del federalismo legaiolo pagato a caro prezzo dai giovani, dai lavoratori, dai disoccupati e dalle donne. Riteniamo importante mobilitarsi contro questo ennesimo scempio del nostro neoliberismo straccione e proponiamo alla discussione dei compagni la presa di posizione della segreteria nazionale dell’ANPI che riportiamo.

«La Segreteria nazionale ANPI: "Il Ddl sull'autonomia differenziata annunciato dal Ministro Gelmini non rispetta la Costituzione" ...continua a leggere "SPEZZATINO REGIONALE DIFFERENZIATO"

Il 18 giugno 2021, Adil Belakhdim, rappresentante del Sindacato Intercategoriale Cobas, veniva assassinato davanti ai cancelli del magazzino della LIDL di Biandrate, travolto da un padroncino che aveva investito il gruppo dei lavoratori in sciopero. Adil è vittima, oltre che della violenza padronale, di quello sviluppo selvaggio della logistica che ha stravolto negli ultimi decenni il volto sociale, ambientale ed economico dell’intero circondario novarese. Ieri, nel luogo dove è stato massacrato Adil, è stata apposta una lapide ricordo e, nel pomeriggio, il S.I. Cobas ha indetto un corteo che si è raccolto in largo Pastore e si è concluso nei pressi piazza Martiri dove Adil è stato ricordato dai suoi compagni di lotta. Riproduciamo il comunicato con cui il S.I. Cobas ha indetto la manifestazione di Novara: «Non si trattò di una fatalità, né di un caso isolato. Sono decine ormai gli episodi in cui gli autisti sono incitati dalle aziende a sfondare i picchetti dei lavoratori in sciopero. È una forma ...continua a leggere "ADIL, UN ANNO DOPO"

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Dalla Rete Solidarietà Rivoluzione Bolivariana: «È terminato con un fallimento politico il IX Summit delle Americhe, organizzato dagli Stati Uniti a Los Angeles con la proibizione ad intervenire per Cuba, Venezuela e Nicaragua. Nove Paesi non hanno inviato né il presidente, né il primo ministro. Altri, come l'Argentina, il Cile, Dominica, ed il Belize pur essendo presenti hanno manifestato direttamente a Biden il loro disaccordo. Il primo ministro del Belize e attuale presidente della Caricom (Comunità dei Caraibi), John Briceño, ha definito "incomprensibile e imperdonabile" la decisione di Washington di non invitare Venezuela, Cuba e Nicaragua al IX Vertice delle Americhe. Nel suo discorso davanti al presidente degli Stati Uniti, Briceño ha assicurato che "il vertice appartiene a tutti i paesi delle Americhe. È incomprensibile isolare quei paesi che hanno fornito una forte leadership e hanno contribuito in questo emisfero su questioni critiche dei nostri tempi. Cuba ha fornito una cooperazione costante nel campo della salute a ...continua a leggere "FALLITO IL IX SUMMIT DI LOS ANGELES"

Sono stati consegnati a Cuba i presidi sanitari anticovid acquistati con la sottoscrizione promossa da Proposta comunista e dai compagni dell'Associazione Italia-Cuba. Un piccolo, gesto, una goccia nel mare, ma un segno di solidarietà internazionalista, di amicizia fra i popoli e una testimonianza che non dimentichiamo l'aiuto dato dalla brigata sanitaria cubana in Italia nei giorni in cui maggiormente imperversava l'epidemia. Mentre nella vecchia Europa sono tornate a parlare le armi degli imperialismi, delle guerre economiche e della guerra per procura  USA, ricordiamo che ci sono ben altre battaglie da ingaggiare per il progresso civile dell'umanità, la giustizia sociale e la costruzione di una società socialista. ...continua a leggere "SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALISTA CONTRO LA GUERRA DELL’IMPERIALISMO"

di Arthur Gonzalez, Razones de Cuba

 

Coloro che accusano Cuba di qualsiasi azione che compia per far rispettare le leggi, specialmente contro coloro che le violano deliberatamente al servizio degli Stati Uniti, di fronte a eventi reali che calpestano i diritti civili e umani, fanno un silenzio totale come se fossero sordi, ciechi e muti. Uno dei recenti casi di violazione dei diritti civili e umani si è appena verificato negli Stati Uniti, un paese che rivendica il diritto di redigere liste per accusare le nazioni che si rifiutano di inginocchiarsi davanti ai loro piedi, quando in realtà sono loro a commettere quotidianamente le maggiori violazioni dei diritti umani. Il caso in questione è quello di Thomas Raynard James, un nero americano che ha trascorso 32 anni in prigione, condannato all’ergastolo per un crimine che non ha mai commesso. La sua condanna è stata giudicata con un’evidente mancanza di prove, fino a quando i suoi appelli non sono stati analizzati da un tribunale di Miami, in Florida, che ha stabilito il 26 aprile 2022 che era innocente. ...continua a leggere "DOVE SONO I DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI NEL CASO DI THOMAS RAYNARD JAMES?"

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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