L'11 giugno 1984 muore a Padova Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano. il manifesto di quel giorno rende omaggio all'uomo e al leader titolando così: “È morto un buon comunista. Mancherà al suo partito, a tutta la sinistra, alla democrazia italiana in crisi”. E l'editoriale di Pintor, è come una affettuosa e commovente lettera d'addio.
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Giovanna Marini non è più. Molti, in queste ore, l’hanno ricordata per la ballata I treni di Reggio Calabria. Vale la pena di ricostruire i fatti che ispirarono quella canzone.
Nel luglio 1970 iniziò la rivolta di Reggio Calabria causata dalla decisione di porre il capoluogo della regione a Catanzaro. C’erano voluti più di vent’anni perché uno dei pilastri della Costituzione – il decentramento amministrativo – trovasse finalmente applicazione. In ogni caso, dentro la protesta reggina si agitavano molti interessi, non ultimi quelli della malavita e dei fascisti che si posero a capo della ribellione. Furono dieci mesi di sangue, terrorismo, violenza squadrista, assalti alle sedi sindacali e delle sinistre, aggressioni ai compagni, attentati dinamitardi a partire da quello del 22 luglio alla Freccia del Sud che provocò sei morti. Alle porte dell’autunno, quando la rivolta si estese alla provincia, erano già tredici le bombe esplose. Nel febbraio 1971, un’altra deflagrazione colpì l’edificio della Provincia a Catanzaro dove erano stati provvisoriamente collocati gli uffici regionali e lo scoppio di una bomba a mano, scagliata contro il corteo di protesta del 4 febbraio, uccise il muratore socialista Giuseppe Malacaria provocando nove feriti. Intanto, il progetto fascista aveva già passato i confini della Calabria e preso la forma del colpo di stato Borghese, imploso all’ultimo momento nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970.
La memoria di Giacomo Matteotti è associata alla barbara esecuzione fascista di cento anni fa. Poche volte è ricordato per il suo impegno militante, nella vita quotidiana o per il ruolo svolto nello sviluppo del socialismo italiano. Proprio in queste dimensioni voglio riproporlo con le parole della “nostra” Abigaille Zanetta che con lui lavorò in un momento cruciale della storia del movimento operaio e del socialismo italiano durante le elezioni dell’autunno 1913.
Vogliamo celebrare questa data fondamentale per la nostra storia con alcune poesie dedicate alla Resistenza.
Alle fronde dei salici. E come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore,/ fra i morti abbandonati nelle piazze/ sull'erba dura di ghiaccio, al lamento/ d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero/ della madre che andava incontro al figlio/ crocifisso sul palo del telegrafo?/ Alle fronde dei salici, per voto,/ anche le nostre certe erano appese,/oscillavano lievi al triste vento. [1947, Salvatore Quasimodo]
Per i morti della Resistenza. Qui vivono per sempre Gli occhi che furono chiusi alla luce / perché tutti li avessero aperti Per sempre alla luce. [Giuseppe Ungaretti]
Tu non sai le colline. Tu non sai le colline/ dove si è sparso il sangue./ tutti quanti fuggimmo/ tutti gettiamo l'arma e il nome./ una donna ci guardava fuggire. / uno solo di noi/ si fermò a pugno chiuso,/ vide il cielo vuoto,/ chinò il capo e morì/ sotto il muro, tacendo./ ora è un cencio di sangue/ e il suo nome./ una donna/ ci aspetta alle colline. [Cesare Pavese, 9 novembre 1945]
Non vada mai dimenticato il sacrificio di chi ha donato la libertà ad ognuno di noi. Antifascisti sempre. Per una nuova primavera resistente. Ora e sempre.
Eccovi la recensione del libro scritto da Marco Travaglini - autore anche di molti dei testi che trovate su questo sito. Si intitola "Voi personaggi austeri, militanti severi… Le storie dei compagni che sapevano ridere (anche di se stessi)" ed è introdotto da una prefazione di Livia Turco.
La scomparsa di Bruno Segre, decano degli avvocati torinesi e protagonista delle più importanti battaglie per i diritti civili, ha rinnovato i ricordi dei tanti momenti vissuti insieme, le discussioni e i racconti, le sue battute argute, i viaggi nei luoghi della memoria con gli studenti ai quali volle partecipare. Era amatissimo dai ragazzi e rammento il loro stupore e gli occhi sgranati quando, davanti al sacrario della Grande Guerra a Redipuglia e ai resti dei camminamenti e delle trincee spiegò che lui era nato ai primi di settembre del 1918, quando ancora tuonavano i cannoni e, fallita l’offensiva austriaca di giugno, si stava preparando la terza battaglia del Piave, la durissima e decisiva battaglia di Vittorio Veneto.
L’avvocato era un brillante affabulatore, un uomo dall’immensa cultura e dalle mille esperienze che amava intrattenersi e raccontare le esperienze di una vita che coincise con il novecentesco “secolo breve” e la prima parte dei duemila.
In quelle occasioni si poteva assistere a vere e proprie lezioni di storia, come accadde più volte a Trieste o in Emilia, alla casa museo dei Cervi a Gattatico, al campo di transito di Fossoli (dove venne internato anche Primo Levi) o al museo della deportazione di Carpi. In quella occasione insieme a Bruno partecipò anche Franco Berlanda, grande comandante partigiano e notissimo architetto amico di grandi protagonisti del Novecento come Picasso, Giulio Einaudi e Le Corbusier.
Quando mi chiese di collaborare a L’Incontro ne fui felicissimo e onorato. Le due passioni della sua vita coincisero con le professioni che lo videro per decenni sulla ribalta della vita torinese e italiana: l’avvocatura e il giornalismo. Infatti, oltre ad indossare la toga per settant’anni con memorabili e appassionate arringhe, dopo aver collaborato a numerose e prestigiose testate fondò L’Incontro nel 1949. Un mensile indipendente, con un programma politico culturale “ispirato alla pace, alla difesa dei diritti civili, al laicismo, all’opposizione a razzismo e antisemitismo”. Quattro grandi pagine con un formato su nove colonne e la testata in rosso che, ininterrottamente per settant’anni, diede voce alle idee di quest’uomo straordinario, mai rassegnato e sempre pronto – con un’invidiabile lucidità e impareggiabile dialettica – a dar battaglia per i suoi ideali libertari e socialisti, per la laicità delle istituzioni e per i diritti umani. Mi diede anche l’ambito tesserino di riconoscimento del giornale che conservo come una reliquia.
In occasione del suo 99° compleanno (ogni anno, fino all’ultimo, erano occasioni speciali per festeggiarlo) venne pubblicato un bel libro: "Libero pensare, una giornata nello studio dell’avvocato Bruno Segre". Un omaggio a cura di Marisa Quirico composto da 18 scatti in bianco e nero del fotografo Renzo Carboni, accompagnati da una prefazione di Davide Manzati e dagli interventi (in rigoroso ordine alfabetico) di Luciano Boccalatte, Nino Boeti, Carlo Greppi, Nico Ivaldi, Maria Mantello, Pietro Polito, Donatella Sasso e Guido Vaglio. Alberto Bolaffi, nella dedica al libro, offrì un sintetico e autentico profilo di Segre: “Caro Bruno, parafrasando Giovannino Guareschi, penso che tu sia uno dei migliori interpreti del suo pensiero quando, da prigioniero in Germania, scrisse che libertà esiste ovunque esiste un cervello libero”.Ultimo allievo di Luigi Einaudi, laureato in legge nel 1940 e discriminato dalle leggi razziali nei confronti degli ebrei, Bruno Segre venne arrestato una prima volta nel dicembre del 1942 per “disfattismo politico” e una seconda nel settembre del 1944 quando venne catturato e rinchiuso nella caserma di via Asti e poi trasferito nelle carceri Le Nuove dalle quali riuscì fortunosamente a fuggire qualche tempo dopo. Un’esperienza alla quale dedicò un libro-memoriale, "Quelli di via Asti", scritto nell’estate del 1946 ma pubblicato solo nel 2013. Partigiano nelle file di Giustizia e Libertà, antifascista tutto di un pezzo e irriducibile paladino delle battaglie per la laicità e i diritti civili, Bruno Segre è stato protagonista delle più importanti vicende lungo un secolo intero. Una su tutte: la difesa, davanti al Tribunale militare di Torino nel 1949 di Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza in Italia.
Bruno Segre è stato tutto questo e molto altro. Le foto di Carboni contenute in quel libro, scattate nello storico studio dell’avvocato al n.11 di via della Consolata, ci regalano un’immagine di quella wunderkammer tra imponenti schedari e tantissimi libri. Era lì, al secondo piano di un antico palazzo del settecento che, entrando nello studio di Segre, il fotografo ebbe l’impressione di “attraversare lo specchio di Alice”. Era un luogo dove si respirava l’aria di una storia che vide protagonista un uomo che, parlando di se stesso e parafrasando il titolo di un suo libro-intervista, poteva affermare a testa alta e senza alcun timore di non essersi mai arreso.
All’alba del 6 giugno 1944 ebbe inizio la più grande offensiva militare della storia con lo sbarco in Normandia. In quello che verrà ricordato come il “giorno più lungo” – in codice, operazione “Overlord” – gli anglo-americani impiegarono un impressionante numero di uomini e mezzi. Circa 150mila soldati americani, britannici, canadesi, polacchi e francesi attraversarono il Canale della Manica, trasportati o appoggiati da quasi 7 mila navi e 11 mila aerei, sbarcando su cinque spiagge – ribattezzate Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword– nel tratto di costa normanna che si estende per circa un centinaio di chilometri, tra Le Havre e Cherbourg.
I nazisti del Terzo Reich avevano costruito, dalla Norvegia al sud della Francia, un sistema di bunker e fortificazioni conosciuto come il “Vallo Atlantico” ed erano convinti che un’eventuale sbarco alleato sarebbe avvenuto nel Pas de Calais, nel punto in cui la costa inglese e quella francese sono più vicine. E lì avevano concentrato gran parte delle loro forze. L’operazione “Overlord” avvenne invece più a sud, sulle spiagge di Normandia, e la battaglia divampò violentissima.
Nel primo giorno dello sbarco furono più di diecimila le perdite alleate tra morti – oltre un terzo del totale – feriti, prigionieri e dispersi. Oltre novemila quelle tedesche.
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