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ABIGAILLE ZANETTA: UN RITRATTO DI MATTEOTTI

La memoria di Giacomo Matteotti è associata alla barbara esecuzione fascista di cento anni fa. Poche volte è ricordato per il suo impegno militante, nella vita quotidiana o per il ruolo svolto nello sviluppo del socialismo italiano. Proprio in queste dimensioni voglio riproporlo con le parole della “nostra” Abigaille Zanetta che con lui lavorò in un momento cruciale della storia del movimento operaio e del socialismo italiano durante le elezioni dell’autunno 1913.

Abigaille Zanetta, Ille per i compagni e gli amici, era nata a Suno il 18 maggio 1875. Una catena di tragedie familiari la gettarono a dodici anni davanti alle dure responsabilità della vita e della sopravvivenza. Conseguito il brevetto di maestra a Vercelli, si stabilì per lavoro a Milano dove si distinse nel dibattito pedagogico, nell’organizzazione dei maestri, l’Unione magistrale nazionale (UMN), e nel movimento femminile. Nel 1909 aderì alla camera del lavoro e l’anno successivo, presentata da Anna Kuliscioff, ricevette la tessera del partito socialista. Fu l’inizio di un impegno appassionato che la rese in breve una delle esponenti più note del socialismo milanese, e non solo, tanto che, nell’imminenza della campagna elettorale del 1913, la sua presenza fu caldamente richiesta in Polesine, nei collegi elettorali di Lendinara e di Rovigo.

L’apertura delle urne era prevista il 26 ottobre per il primo turno e il 2 novembre per il ballottaggio. Per la prima volta in Italia si votava con il suffragio “universale”. In realtà, la legge aveva riconosciuto il diritto di voto ai soli uomini. Partecipare alla campagna elettorale significava, per Ille e per le donne socialiste, continuare la battaglia per l’emancipazione utilizzando i comizi, le conferenze, i contraddittori, i giornali per porre anche la questione di un vero suffragio universale con l’estensione del diritto di voto all’altra metà del cielo. La richiesta di recarsi in Polesine giunse a Ille dal collega e compagno di partito Francesco Ciarlantini (poco dopo passato all’interventismo, quindi al fascismo fino ad approdare al… gran consiglio del PNF). Per i socialisti del collegio di Lendinara si annunciava una battaglia elettorale difficile e impari. Per questo chiedevano aiuto lamentando di essere «lasciati quasi soli contro avversari potenti e contro un candidato clerico-moderato temibilissimo». Lo stesso Matteotti, in una lettera scritta alla fidanzata Velia il 25 settembre non poteva celare che «La lotta qui si fa acerba: tutti i partiti ci sono contro e probabilmente perderemo.» Giacomino, dopo il congresso socialista di Reggio Emilia e l’espulsione del socialriformista Nicola Badaloni, era emerso come leader socialista del Polesine. Inoltre dal 1910 ricopriva la carica di consigliere provinciale e dal 1912 quella di sindaco di Villamarzana.

Ille arrivò il 19 ottobre. Incontrò il candidato socialista Giuseppe Soglia, direttore didattico a Reggio Emilia e promotore dell’UMN, e la moglie Bice. A Rovigo era invece candidato il medico Galileo Beghi. Il «quartiere generale» socialista era in casa Matteotti a Fratta Polesine. L’impegno, che si prolungò fino al ballottaggio, fu a dir poco massacrante. La maestra milanese parlò a Polesella, Pìncara, Rovigo, San Martino, Arquà Polesine, Bresparola, San Bellino ecc. sempre attesa da un pubblico numeroso di braccianti e di curiosi. Per quanto tra i lavoratori della terra la componente femminile fosse molto nutrita, e il loro sindacato fosse diretto da Argentina Altobelli, una donna che prendeva la parola in un comizio, tantomeno una pasionaria come Ille, non era una presenza consueta né sempre gradita specialmente ai cattolici e ai conservatori. Si trattava di spostarsi rapidamente più volte al giorno (se possibile con «un» automobile, che allora era parola di genere maschile), provvedere inoltre alla preparazione della propaganda elettorale, all’impaginatura del giornale socialista locale “La Lotta”, a predisporre i collegamenti con un servizio di ciclisti rossi ecc. Senza contare che i contraddittori, allora normalmente ammessi durante gli incontri pubblici, potevano assumere un andamento molto vivace o addirittura tumultuoso. Alla fine i socialisti spuntarono una vittoria insperata quanto sofferta in entrambi i collegi. A Lendinara Giuseppe Soglia riuscì deputato, forse il primo tra i maestri. Al tempo stesso assunse la presidenza dell’UMN. Tuttavia il prestigio delle cariche conquistate e il suo senso d’equilibrio a nulla valsero contro la canea scatenata dai maestri nazionalisti che, durante la guerra, cacciarono con violenza pacifisti, internazionalisti e socialisti dall’Unione.

Durante la permanenza in Polesine, Ille scrisse alcune lettere alla sorella maggiore Erminia. Ermis, così era affettuosamente chiamata, anche lei maestra, poi direttrice didattica, era il porto sicuro di Ille, la confidente, l’ancora a cui aggrapparsi nelle tempeste della vita. Proprio da alcune di queste lettere emerge un breve ma intenso ritratto di Giacomo Matteotti che propongo. La prima fu inviata da Fratta Polesine il 25 ottobre:

«Carissima, sono piombata nella più simpatica bohême del mondo. Ieri arrivo qui in casa del giovane avv.to Matteotti (quartiere generale del comitato elettorale) che sta solo a fare il milionario campagnolo con sua madre. […] Ieri sera il signor Giacomino Matteotti ed io fummo a fare un comizione a Pìncara poi raggiunto Martello in automobile si volò in tre a Rovigo giungendo in tempo a fare un contraddittorio con il deputato repubblicano. Vero trionfo dell’eloquenza di Matteotti. La nostra auto si guasta e… si deve accettare l’offerta dell’auto dell’avversario! […]»

Una seconda lettera fu inoltrata da Rovigo pochi giorni dopo il 30 ottobre:

«Ogni sera mi si manda (come altri propagandisti) in una delle parti del collegio a tenere conferenze e contraddittori. Ieri sera ne ebbi uno con un avvocatino cattolico […] Fummo trattati con tolleranza e anche noi fummo serenissimi nella forma. Matteotti friggeva di non poter parlare. Ha la gola in disordine. A vederlo mi ricorda Camillo Zana. Ha la stessa predestinazione: già il padre e due fratelli son morti giovani di quel terribile male. A che servono i milioni? È come il nostro ragazzo. Ema e ed io lo curiamo come un fratellino. […] Qui per altro si vive in una fraternità genialissima: credi che le idealità comuni sono un gran vincolo

Concluso il tour elettorale, Ille, ormai rientrata a Milano sul posto di lavoro, ricevette i ringraziamenti di Giuseppe e di Bice Soglia:

«Reggio, 4 novembre 1913. Gent.ma Signorina, un po’ in ritardo, ma non meno sentiti, Le mando i ringraziamenti per l’aiuto datomi nella campagna elettorale. La insperata vittoria è dovuta in gran parte all’opera di propaganda degli amici e dei compagni, venuti di fuori a confortarmi e a compiere quell’azione, che io non avrei potuto da solo esercitare. Grazie di nuovo e cordiali saluti dal Suo dev.mo Giuseppe Soglia. Saluti affettuosi, Bice»

Questo breve dattiloscritto di Soglia recava in calce poche righe di Matteotti:

«Favorisca mandarmi, con sollecitudine cortese, la nota delle sue spese. Giacomo Matteotti»

Una manciata di frasi dalle quali tuttavia emerge un mondo. La parola bohême, dopo lo straordinario successo dell’opera di Giacosa e Illica musicata da Puccini (la prima fu al Regio di Torino il 1 febbraio 1896), era diventata sinonimo di vita libera e anticonformista seppure poverissima. Rendeva bene l’ottimismo inquieto e la gioia di vivere dell’epoca giolittiana sulla quale si addensarono prima le nubi dell’insensata guerra italo-turca e poco dopo la tempesta del primo conflitto mondiale. In effetti fu un momento di straordinarie contraddizioni, di progresso tecnologico e civile, di conquiste del movimento operaio e di stragi poliziesche, di meschinità e di eroismi. Nel socialismo italiano si delinearono i caratteri di fondo di uno scontro destinato a riemergere drammaticamente nel dopoguerra tra opportunisti di ogni tendenza (tra i quali Mussolini, la cui torva influenza era già avvertibile sia a Milano sia nel Polesine) e le spinte della lotta di classe.

La bohême di Fratta comunque non era quella patinata e disimpegnata del teatro. Seppure in un’altra lettera Ille indulgesse su qualche momento scherzoso nelle rare pause del faticoso lavoro elettorale, i tratti dominanti rimasero quelli della «fraternità», delle «idealità comuni» e del duro confronto con la realtà della condizione bracciantile. In quella prima inattesa vittoria elettorale si possono intravedere le dimensioni e i riflessi di quel movimento teso ad abolire lo stato di cose presente, quel movimento che pochi anni dopo, le squadracce fasciste con inaudita violenza e con la complicità del potere economico e dell’apparato statale, distrussero insieme alla vita di Matteotti. Un altro aspetto va colto nelle lettere: quello umano. La pietas di Ille per la tragica fine del padre di Matteotti, Gerolamo, e dei due fratelli Silvio e Matteo dovuta alla piaga sociale della tubercolosi che non risparmiava i luoghi di lavoro, i quartieri proletari, le dimore rurali e le aule dei suoi alunni. Questo capitava quando la tessera di un partito e il socialismo si pagavano di persona, anche col carcere, con la perdita del lavoro e a volte con quella della vita e quando un milionario come Matteotti metteva mano al portafoglio per finanziare una campagna elettorale e ristorare le spartane spese di una maestra. [Le carte di Abigaille Zanetta sono conservate presso l’Istituto Parri di Milano]

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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