Cinquant’anni fa, il 16 maggio 1972, sul cantiere di lavoro di Romentino, moriva Alessandro Boca, il comandante partigiano Andrej. Il suo cuore generoso, che non aveva tremato nei combattimenti contro i nazisti e che aveva retto il dolore al sacrificio di Paolo Alleva, di Gaudenzio Pizio e di tanti altri compagni, si era fermato per sempre. Era nato il 22 novembre 1920 alla Cacciana di Fontaneto d’Agogna, una comunità impermeabile al fascismo e fiera del proprio patrimonio di lotte e ideali di giustizia sociale. Al suo interno, i comunisti si muovevano come pesci nell’acqua, “avvocati dei poveri”, che per vent’anni avevano subito senza piegarsi il carcere, il confino e le persecuzioni della dittatura. Quella di Andrej era stata un’esistenza di impegno civile e di studio, sorretta dalla volontà di imparare, prima di tutto, dal «libro della vita». Si era iscritto ai giovani comunisti il Primo maggio 1937, dedicandosi al Soccorso rosso e alla lotta clandestina negli anni bui della guerra di Spagna, quando il fascismo inscenava le prove generali dell’alleanza con la Germania nazista e della ormai imminente guerra mondiale. Aveva una bella voce e amava la musica. Suonare il mandolino o la chitarra era anche un modo per riconoscersi tra spiriti liberi, per fare amicizia e allegria in un mondo nel quale per contadini e operai c’era ben poco da rallegrarsi. Poi la musica cambiò e lo stesso Andrej, anni dopo, intitolò il giornale della sua formazione partigiana “Quando canta il mitra”.
L’8 settembre lo trovò artigliere alla frontiera francese, a Giaglione in alta Val di Susa. Vi era giunto tre anni prima con la fotografia di Lenin nel portafoglio. Per saggezza e prudenza era diventato punto di riferimento di un gruppetto di commilitoni coi quali, fin dal 1942, aveva iniziato l’attività antifascista diffondendo tra i soldati manifestini contro la guerra perché, diceva, «ogni manifestino è come una voce, una voce seria che dice cose importanti.» Rientrato avventurosamente a Fontaneto dopo l’armistizio e l’occupazione tedesca, aveva preso contatto con il CLN appena sorto e con Carletto Leonardi. Il fondamentale supporto alle prime bande partigiane, l’organizzazione dell’espatrio dei prigionieri alleati e degli ebrei, l’attesa dei lanci annunciati da Radio Londra e mai arrivati, alla fine, non furono più sufficienti a soddisfare il suo desiderio di riscatto e, sui primi di marzo 1944, raggiunse con altri compagni Cino Moscatelli a Rimella. Posto a capo di una piccola formazione, partecipò alla breve esperienza della repubblica partigiana della Valsesia nel maggio e giugno 1944, guidando rapide puntate al di fuori della zona libera a Fara, Borgomanero, Gozzano e alla Caminadina di Oleggio contro gli impianti della Todt. Nonostante l’esito incerto di questa azione, i garibaldini riuscirono a bloccare la rappresaglia nazista, imponendo ai tedeschi lo scambio dei prigionieri che avvenne davanti alla popolazione di Borgosesia così come nella cittadina si svolsero poco dopo le pubbliche esequie dei quattro partigiani caduti.
Convinto della necessità di non rinchiudersi nelle valli montane, che potevano trasformarsi in trappole mortali, e della possibilità di portare la lotta partigiana fino alla periferia delle città, Andrej fu uno dei protagonisti della “guerra di corsa” nella pianura e sulle colline novaresi con veloci azioni su ampio raggio che avevano come obiettivo l’autostrada Torino-Milano, il campo di volo di Cameri, le vie di comunicazione, i presidi nemici e gli impianti di produzione bellica. Poco dopo l’occupazione garibaldina di Gozzano e Borgomanero, quando da pochi giorni si era avviata la repubblica partigiana dell’Ossola, il 20 settembre 1944, fascisti e nazisti incendiarono la Cacciana. Andrej e i suoi partigiani si mossero con accortezza ponendosi al servizio degli sfollati e consolidando i legami con la popolazione. Intanto, gli effettivi al comando di Andrej crebbero fino a raggiungere le dimensioni di una brigata che fu la 124a, intitolata al giovane Gaudenzio Pizio Greta, caduto in un’imboscata fascista alla Fascia rossa. La nuova formazione ebbe un ruolo importante nei fatti d’arme della primavera del 1945 a Borgomanero, Fara, Borgosesia, Romagnano, Arona, Sesto Calende fino alla Liberazione.
Nell’ottobre 1945, Andrej poté riprendere e completare gli studi interrotti durante il periodo della guerra. Lo fece prima presso il Convitto Rinascita di Luciano Raimondi e Guido Petter e poi al Politecnico di Milano dove si laureò in Ingegneria chimica nel 1953. In un primo tempo, lavorò presso alcuni grandi impianti chimici. Alla raffineria di Livorno, decise di scioperare al fianco degli operai e, da quel momento, lasciò la fabbrica per dedicarsi all’insegnamento presso l’Istituto tecnico Omar di Novara e alla libera professione nel campo edilizio. Non fu risparmiato dal gelido vento della guerra fredda e della caccia alle streghe anticomunista finendo incarcerato nel 1955 per un periodo così breve come inconsistenti erano le accuse mosse nei suoi confronti. I suoi contadini lo risarcirono chiamandolo alla carica di sindaco di Fontaneto. Lui, che per una vita intera fu “costruttore di ponti”, pontefice di solidarietà e di dialogo, progettò gratuitamente i ponti destinati finalmente a collegare la frazione della Cacciana con il paese. Quelle opere indispensabili che il fascismo non aveva mai realizzato, furono dirette gratuitamente da Andrej e realizzate con il lavoro volontario degli abitanti.
Nel 1965, volle la solenne celebrazione del ventennale della Liberazione alla presenza, tra gli altri, del vecchio combattente comunista Gerolamo Li Causi, che alla Cacciana ritornava dopo gli anni eroici dell’Ordine nuovo e delle prime impari battaglie antifasciste.