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MODU: GLI ASSASSINI IMPUNITI «IN VIA DEFINITIVA»?

Quella dell’operaio di origine senegalese Modu Sow è una vicenda raccapricciante, che ha dell’incredibile. È una vergogna che aggrava il degrado civile di questo Paese e pesa su di un sistema giudiziario che, ancora una volta, ha mostrato non solo la sua incapacità di fare giustizia ma anche il suo volto duramente classista. Modu fu assassinato sul posto di lavoro dieci anni fa e fatto sparire. I padroni della fabbrica, processati, condannati in due appelli, alla fine, furono assolti in via definitiva perché risultò determinante il mancato ritrovamento del corpo della vittima. Ora, i poveri resti di Modu sono riemersi e sono stati precisamente identificati, ma i suoi carnefici, nel frattempo arrestati per reati di stampo mafioso, non potranno più essere chiamati a rispondere di questo orrendo delitto a sfondo razziale. Mohamed Sow, “Modu”, lavorava alla Pulimetal di Paruzzaro, una piccola pulitura dell’Alto novarese, una delle tante micro-aziende che formano il capillare tessuto connettivo del distretto della rubinetteria e del valvolame. È stata proprio la flessibilità di queste piccole officine – dove non c’è sindacato, i controlli degli organi di vigilanza sono inesistenti e la promiscuità con il lavoro nero è evidente – che ha consentito al distretto di attutire i colpi delle crisi recenti, compresa quella pandemica, e di scaricarne i costi maggiori sui lavoratori. Anche l’arrivo degli immigrati, carne da lavoro fresca, all’inizio in buona parte senegalesi, ha contribuito non poco alla “resilienza” del distretto. «Lavorano proprio come negri!», si lasciava sfuggire ridacchiando qualche padroncino. E intanto, magari, affittava ai suoi operai un casotto abbandonato e fatiscente riprendendosi con una mano il magro salario che aveva corrisposto con l’altra. In questa ributtante ricetta del profitto, va aggiunto un ultimo ingrediente: la malavita, per la precisione la ‘ndrangheta, come le vicende processuali di Sow hanno poi impietosamente svelato e dimostrato.

Modu era giunto in Italia nel 1998 e, inizialmente, era andato prima ad abitare col fratello a Cavaglio d’Agogna. Poi si era trasferito a Invorio, comune confinante con Paruzzaro. Il lavoro, duro e malsano, era anche malpagato e Sow si era accorto che dalla busta paga mancavano dei soldi. Così aveva deciso di rivendicare il suo diritto e di cercarsi un’altra occupazione. Il 16 maggio 2001, era andato alla Pulimetal fermo nei suoi propositi. Da quel giorno, di lui non ci sono state più notizie. Ammazzato come una bestia, come «un cinghiale», l’agghiacciante parola che gli investigatori hanno intercettato in una conversazione tra gli imputati del suo omicidio. Nel capannone di Parruzzaro, gli investigatori dei RIS di Parma trovarono uno schizzo di sangue proprio sul posto di lavoro di Modu. Poi, una sua lettera di dimissioni, saltata fuori all’improvviso, si rivelò un falso, solo un maldestro tentativo di depistaggio. I lavoratori senegalesi, scendendo in piazza e coinvolgendo i media, impedirono che la vicenda di Sow fosse inghiottita dal silenzio e obbligarono la giustizia a muoversi. Le indagini, iniziate con mesi di ritardo, furono seguite da un estenuante itinerario giudiziario, al termine del quale, dopo ben sette processi (sette!), gli imputati, i calabresi Domenico Rettura, titolare della piccola pulitura, e il suo capo officina Rocco Fedele furono assolti per insufficienza di prove. Infatti, nel 2014, la Corte d’Appello di Torino aveva confermato la sentenza di proscioglimento già emessa agli inizi, nel 2005, dall’Assise di Novara, dove i giudici avevano concluso che «il fatto non sussiste». Invece nel primo Appello, Rettura e Fedele erano stati condannati a 16 anni per omicidio preterintenzionale, sentenza che la Cassazione aveva poi annullato nel giugno 2010. Un anno dopo, si era celebrato il secondo Appello, che di nuovo aveva condannato i due imputati a 14 anni di prigione. La sentenza era stata di nuovo sciacquata nelle acque del biondo Tevere nel 2013, poi in quelle del Po, fino a giungere al giudizio conclusivo di assoluzione per i due imputati il 24 agosto 2015. Secondo i giudici, Modu sarebbe stato vittima di una «morte accidentale». Quanto all’occultamento del cadavere, se mai ci fosse stato, il reato risultava ormai prescritto… Mentre la giustizia faceva il suo corso, il suo lunghissimo e placido corso, in Senegal, nel 2003, stroncato dal dolore, se n’era già andato anche il padre di Modu.

Il 12 dicembre 2017, a Taurianova, Fedele e Rettura, che, chiusa la Pulimetal, erano tornati nella loro città e si erano dati all’edilizia, furono arrestati con l’accusa di aver fiancheggiato una cosca malavitosa. Alla fine, la svolta. Nella primavera, nei boschi tra Oleggio Castello e Gattico, a qualche chilometro di distanza dalla Pulimetal, è spuntato dal terreno un teschio che è stato portato al Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’università degli Studi di Milano. Il LabAnOF si occupa di resti archeologici ma anche dell’identificazione dei morti nelle fosse comuni e delle vittime di guerre. Cerca di dare un’identità agli immigrati scomparsi in mare, un’età biologica ai bambini non accompagnati che giungono sulle nostre coste e, naturalmente, svolge un’azione scientifica nei campi della medicina legale e forense. Così una radiografia, che Modu aveva effettuato presso l’ospedale di Borgomanero, ha consentito l’identificazione certa dei resti.

Sow fu ucciso perché operaio e perché nero, come tale considerato inferiore e indifeso al punto da poter essere ammazzato come un cinghiale. Come abbiamo scritto due anni fa, ripetiamo: quanto vale la vita di un operaio immigrato? Quanto vale la vita di un operaio? Quanto vale la vita di un uomo?

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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