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60 ANNI FA IL MASSACRO DEGLI ALGERINI A PARIGI

Sessant’anni fa, il 17 ottobre 1961, chiamati dalla Federazione francese del Fronte di liberazione nazionale, gli algerini scesero in piazza a Parigi per manifestare contro il coprifuoco imposto dal prefetto di Parigi Maurice Papon, che, più di trent’anni dopo, nel 1997, sarebbe stato condannato per le gravi responsabilità avute nella deportazione antisemita durante la repubblica filonazista di Vichy. Quella manifestazione del 17 ottobre fu duramente repressa nel sangue dalla polizia. Oltre undicimila manifestanti finirono arrestati e concentrati nel palazzo dello sport e nello stadio “Pierre de Coubertin”. Fu una strage di stato e il numero reale delle vittime ancora oggi non è noto per il silenzio che cadde sull’intera vicenda e sui responsabili. In realtà, il sanguinoso massacro parigino si poneva al culmine di un crescendo di violenza organizzata dallo stato francese per tutti i sette anni precedenti durante i quali si era sviluppata la lotta anticolonialista del popolo algerino.

Il novarese Enrico Emanuelli (1909-1967) fu uno scrittore di rilievo nazionale. Come giornalista collaborò coi maggiori quotidiani e si distinse per la lucidità dei suoi reportage. Nel 1960, curò il numero di “Mezzosecolo”, la rivista che dirigeva insieme a Carlo Bo e Giancarlo Vigorelli, dal titolo significativo: Contro la tortura. Era questo un argomento di immediata attualità, portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale dalla sinistra e dai circoli intellettuali più avanzati a partire dalla rivista “Temps modernes” di Jean Paul Sartre. Da parte sua, Emanuelli firmava le pagine di apertura di “Mezzosecolo” con l’articolo Le numerose Algerie, in cui scriveva: «Pierre-Henri Simon parla dell’Algeria e dei francesi di fronte al «barbaro mezzo di procedura» [cioè la tortura]. Ma il nostro ricordo va ai tedeschi e ai fascisti e a tutti coloro che torturarono perché l’Algeria è una occasione, è soltanto una contingenza vistosa. In altre parole Algeria è anche in Europa e in America e nell’Oriente. Le Algerie sono numerose».

Purtroppo, dobbiamo aggiungere che Algeria è anche nel 2001, alla Diaz e a Bolzaneto, nel 2009, a Roma con Stefano Cucchi, nel 2016, al Cairo con Giulio Regeni. In ogni caso, nel 1960, il muso duro e feroce del colonialismo francese in Algeria riportava immediatamente alla memoria l’occupazione nazista e il collaborazionismo repubblichino, le stragi, i rastrellamenti, le bestiali torture che si consumarono in via Tasso a Roma e in ogni “villa triste” che segnò il percorso doloroso della nostra Liberazione. Inevitabilmente, anche se Emanuelli non ne fa cenno, la lotta del popolo algerino rimandava alla nostra Resistenza.

Furono quelli, a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, anni di grandi tensioni internazionali e di sedimentazione di fecondi fermenti che di lì a poco tempo porteranno all’esplosione delle lotte operaie e studentesche. Sul teatro dell’Africa mediterranea, si erano resi indipendenti la Libia nel 1951, il Marocco e la Tunisia nel 1956. Nei mesi di ottobre e novembre di quell’anno, raggiunse il punto culminante la crisi di Suez con l’attacco delle truppe israeliane all’Egitto e con l’occupazione militare inglese e francese di Porto Said. In quei giorni, il mondo si trovò a un soffio dell’esplosione del terzo conflitto mondiale. Il 1960 fu «l’anno dell’Africa». Furono, almeno formalmente, “indipendenti”: Camerun, Ciad, Congo, Costa d’Avorio, Dahomey, Gabon, Ghana, Mauritania, Niger, Nigeria, Repubblica centrafricana e Togo, ma l’Algeria rimaneva ancora sotto il dominio francese. Le ragioni di questo disperato attaccamento della Francia a questa parte del Maghreb sono diverse. Prima di tutto, erano presenti in Algeria importanti giacimenti di petrolio e di metano, in buona parte ancora non sfruttati dalle compagnie francesi che già avevano costruito una estesa rete di oleodotti. In secondo luogo, i francesi d’Algeria, i cosiddetti pied-noir, i “piedi-neri”, che rappresentavano circa il 10% della popolazione, erano ben decisi a mantenere la loro posizione di dominatori sotto la protezione delle armi francesi. In terzo luogo, il generale Charles de Gaulle, primo ministro nel 1958 e, dall’anno seguente, presidente della Repubblica francese, coltivava una politica di “grandezza” che lo costrinse a rallentare il più possibile l’inevitabile distacco della colonia algerina. Infine, non vanno trascurate le pressioni esercitate sul governo francese non solo dai pied-noir ma anche dagli ambienti militari, dal poujadismo e dall’estrema destra nazionalista che, nel 1961, si organizzò nella clandestina Organisation de l’Armée Secrète, OAS. Il terrorismo nero dell’OAS, le cui vittime sono stimate in 2.700, operò in Algeria e in Francia ma coinvolse anche l’Italia, dove – si disse – aveva condannato a morte Enrico Mattei per l’appoggio da lui dato alla lotta d’indipendenza algerina. Mattei morì in un incidente aereo di cui non si sono mai chiarite le cause il 27 ottobre 1962.

Per tutti questi motivi, il percorso dell’indipendenza algerina fu particolarmente tortuoso e sanguinoso. Iniziò nel 1954, con le insurrezioni nell’Aurès e nella Grande Cabilia e la costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) e dell’Armata di Liberazione Nazionale (ALN), e proseguì con una lunga guerra di logoramento. La battaglia di Algeri segnò il passaggio dall’azione nelle zone rurali, in cui il movimento indipendentista aveva fino allora agito, alle città. Prese avvio dagli attentati del 30 settembre 1956 nei quartieri europei a cui l’autorità coloniale rispose con la legge marziale e l’invio dei 7 mila paracadutisti della 10a Divisione. Il suo comandante, il generale Jacques Massu (1908-2002) (a cui si ispira la figura del col. Mathieu del film), reduce dall’Indocina, utilizzò le più spietate tecniche di controguerriglia ricorrendo alla tortura, agli arresti di massa, ai bombardamenti, alle deportazioni, alla pulizia etnica e cercando di fermare con ogni mezzo lo sciopero generale iniziato il 28 gennaio 1957 e proclamato dall’FLN in coincidenza col proseguimento della discussione sulla situazione algerina all’ONU. La brutalità dell’azione militare e l’impiego sistematico della tortura consentirono ai Francesi di disperdere l’organizzazione dell’FLN e di riprendere momentaneamente il controllo di Algeri, ma ebbero vasta eco internazionale rivelando al mondo la natura imperialista e coloniale della guerra in corso. Il 7 ottobre 1957, con la morte di Ali La Pointe, ultimo dirigente del FLN della capitale, e di altri trenta civili, termina la battaglia di Algeri. Il 17 ottobre 1961, la grande manifestazione contro il coprifuoco che, di fatto, segna l’avvio della fase finale della lotta per l’indipendenza nazionale. Il 3 luglio 1962, l’Algeria è indipendente.

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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