Vai al contenuto

FINALMENTE IL RITORNO ALLA NORMALITÀ!

Finalmente, s’intravede l’uscita del tunnel del covid. Tutti aspettano il ritorno alla “normalità”. Già, ma quale normalità? Per favore, non ditemi quella dell’happy hour o dello stadio! Forse, la normalità del periodo precedente la scorsa primavera? Da questo punto di vista, il campanello è già suonato più volte annunciando nello spazio di poche ore tre omicidi sul lavoro: Luana, 22 anni, maciullata da un orditoio in una fabbrica di Prato; Christian, 49 anni, schiacciato da un tornio in un’officina di Busto Arsizio; Maurizio, quasi 47 anni, rimasto sotto un carico caduto in un cantiere edile della Bassa bergamasca. Tre destini operai accomunati dalla normalità degli ultimi decenni, fatta di brusca contrazione dei posti di lavoro, di ricatti, di aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro mentre, dall’altra parte, le morti e gli infortuni sul lavoro, tenendo conto delle proporzioni,  non sono calati né in quantità né tanto meno nel loro aspetto di orrore e di sistematica violenza.

D’altro canto, in questo periodo di confinamento sanitario, non si è mai interrotta la normalità del profitto. Anzi, la pandemia è stata una risorsa insperata, una spinta potente alla ridefinizione della divisione internazionale del lavoro, alla competizione globale, tanto acclamata dal pensiero unico neoliberista, e alla spartizione dei mercati e delle sfere d’influenza nel pianeta. Ci sono settori, per esempio, quello del digitale e dei servizi accessori, quello della finanza, quello delle big pharma che sono stati inondati da un boom senza precedenti di guadagni, settori che hanno fatto delle difficoltà e della disperazione provocate dalla pandemia una ghiotta occasione di business. I forzieri sono così stracolmi che il presidente Biden può permettersi il beau geste di promettere la revoca dei brevetti dei vaccini anticovid, promessa, tra l’altro, finalizzata anche a contrastare sul piano dell’immagine il “competitor” cinese.

In una economia di sudditanza, come quella italiana, devastata dalla deindustrializzazione, dalla mancanza di politiche industriali (aspetto caratteristico del neoliberismo cialtrone de noantri) e dal declino economico e demografico sono venute alla luce tutte le fragilità di un sistema economico senza capo né coda, basato sulla provvisorietà, sulla precarietà e sull’attività di settori terziari marginali o parassitari, sempre più soffocato dalle spire delle sue contraddizioni storiche come il divario tra nord e sud, lo sviluppo abnorme della rendita, il peso delle economie criminali, puntellato dallo sfruttamento intensivo della forza-lavoro fino al limite (più volte oltre questo limite) dello schiavismo.

Politicanti e mediocrati hanno finto stupore davanti a quella “povertà” del paese che avevano vergognosamente negato e nascosto in precedenza. Chi non ricorda il Berlusconi che decantava i ristoranti affollati, gorgheggiava sulle case degli italiani, dimore principesche luccicanti di ogni genere di elettrodomestico, e suonava il piffero di una società in cui l’unica ambizione dei giovani pareva fosse quella di “lavorare” nel mondo dello spettacolo e di ritagliarsi, in un’esistenza vuota e disperante, un miserabile quarto d’ora di celebrità televisiva?

In realtà, il ritorno alla normalità precedente, per quanto insipida e ingiusta, non sarà possibile e non solo per le modificazioni del lavoro, della coscienza e della vita quotidiana che la situazione pandemica ha contribuito ad accelerare. La pandemia lascia un’eredità pesante e, intanto, il suo decorso è tutt’altro che chiaro e prevedibile: è un drago che non fa sconti e non ha amici nemmeno tra i rettili affini. Intanto, in America Latina e nel subcontinente indiano si continua a morire in condizioni indicibili e incredibili in un mondo che si ritiene progredito ed evoluto. Intanto, in un’Europa in cui rispuntano grottesche velleità napoleoniche contro la “perfida Albione”, i segnali relativi all’incidenza del virus sono ancora contrastanti. La credibilità dei sistemi sanitari, nonostante gli sforzi eroici del personale sanitario, ne esce seriamente incrinata per le battaglie politiche di bassa cucina che hanno visto esperti di tutte le sfumature combattersi pubblicamente senza ritegno e senza esclusione di colpi, schierandosi da questa o da quella parte, e gli organismi tecnici prendere decisioni che venivano contraddette o rimaneggiate il giorno successivo. Ancora una volta è apparso evidente che scienza e tecnica non sono affatto neutrali, né insensibili alle sguaiate sirene del capitale e, in subordine, dei governi.

Questa verità conclamata, che in una società sana sarebbe occasione di presa di coscienza e di mobilitazione anticapitalistica, in una realtà di società civile ormai sfilacciata e di degrado del sistema politico come quella italiana, è invece diventata un ostaggio nelle mani delle destre che cinicamente non esitano a strumentalizzare il disagio e a spargere la loro “cultura” della morte. Le epidemie sono classiste. A farne le spese maggiori sono sempre i poveri e i proletari. Quello che rimane della sinistra di classe ne è colpita. Non dimentichiamo che il covid ha portato via una generazione di compagni e, con loro, se n’è andato un patrimonio di memoria, di esperienza, di umanità e di moralità di valore inestimabile. Questi mesi tragici lasciano anche un tessuto di riflessione e di solidarietà dal basso che non mancherà di dare i suoi frutti.

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
Privacy policy

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy