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“CONFERMATIVO” SARÀ LEI!

In tutte le disinvolte chiacchiere sulle elezioni dei prossimi 20 e 21 settembre, una sola certezza risulta confermata: la confusione. Una confusione senza limite né vergogna. I media parlano di «referendum confermativo», come se quell’aggettivo invitasse implicitamente a confermare la legge di revisione costituzionale, quindi a votare “sì”, in contrapposizione al «referendum abrogativo» in cui si sarebbe indotti invece a votare “no”. In realtà, nella Costituzione italiana, non esistono né il referendum confermativo né quello abrogativo: infatti, gli articoli 75 e 138 parlano semplicemente di «referendum popolare», senza altri aggettivi, in cui l’elettore vota, sulla base delle proprie convinzioni, “sì” oppure “no”, secondo una diversa procedura per le leggi ordinarie e per quelle costituzionali.

 

Una “casta” che punisce se stessa? L’argomento di cui si chiacchiera con disinvoltura è la riduzione del numero dei deputati, da 630 a 400, e dei senatori, da 315 a 200. Un taglio «lineare», dicono i bene informati, esattamente come furono «lineari» i tagli che hanno devastato il sistema pensionistico, la sanità, la scuola, lo stato sociale, svuotato le fabbriche e distrutto l’intero apparato industriale del paese. Si vocifera che gli effetti delle sforbiciate che stanno per abbattersi su Montecitorio e Palazzo Madama saranno a dir poco mirabolanti: zac! Risparmi finanziari stellari; zac! Un parlamento mostruosamente efficiente; zac! Una democrazia rigenerata; zac! Onorevoli competenti e onesti, cittadini finalmente contenti e haters disoccupati. In questi ultimi giorni, va per la maggiore l’argomento secondo cui meno parlamentari darebbero più qualità al parlamento, insomma, con meno poltrone, avremo solo i migliori, la crème della… “casta”. L’impressione, invece, è che sarà migliore – nel senso di più alto – il suo prezzo sul mercato della politica.

Questi, e molti altri “ragionamenti”, sono l’ultimo ritrovato della inesauribile ideologia anti-casta che – è bene non dimenticarlo – ebbe la sua esplosione mediatica nel 2007 per opera di due giornalisti del “Corrierone”, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.

In definitiva, la legge di revisione costituzionale sottoposta a referendum non sarebbe altro che la volontà di una “casta” corrotta, ignorante e infida che riforma e moralizza se stessa, con addirittura 345 eroici onorevoli che decidono di sacrificare i loro attributi parlamentari per un non meglio precisato bene comune! Un nobilissimo autolesionismo. Cose da non crederci, che noi, poveri umani, non abbiamo mai visto nella storia di questo paese. E neanche nei film e nelle favole. Semplicemente: vogliono essere in meno per spartirsi una fetta di torta più grande.

 

La “casta” e lo stato. Invece, la riflessione sul referendum dovrebbe partire da altre considerazioni. Per esempio, il fatto che questo stato non è affatto in crisi. Infatti, in questi ultimi decenni, le classi dominanti ne hanno puntualmente usato l’apparato per scaricare i costi delle crisi economiche e finanziarie, da loro stesse provocate, sulle classi subalterne, per consolidare il loro potere, per incrementare la loro ricchezza senza riguardo alcuno per le condizioni dell’umanità e degli equilibri ambientali, per alimentare le guerre tra poveri e la disgregazione sociale. Lo stato ha dimostrato ancora una volta la sua tremenda efficacia e il suo ruolo nella lotta di classe globale. A queste condizioni non sfugge l’Italia, dove non si è sviluppata una guerra tra la “casta” da una parte e un indifferenziato popolo di paria dall’altra, ma una feroce lotta politica che ha portato una minoranza a dominare e arricchirsi, la povertà ad aumentare, le grandi imprese globali a fare shopping in una gigantesca svendita dell’apparato produttivo, il paese ad assumere un nuovo ruolo nella divisione internazionale del lavoro e nelle strategie delle superpotenze. In questi cambiamenti, il parassitismo, il clientelismo, la corruzione, la criminalità mafiosa, il degrado culturale non sono stati brutti incidenti di percorso ma elementi strutturali da sempre presenti nel nostro sistema capitalistico di cui sono parte integrante.

Allora la domanda è: possono cambiare questa situazione 345 parlamentari in più o in meno?

 

Il compromesso istituzionale. Un secondo problema riguarda la rappresentanza democratica (e la rappresentatività). In Italia, non esiste una forza politica parlamentare che sia espressione, sostenga e dia voce ai ceti subalterni. Di quella che un tempo fu l’armata rossa del “più grande partito comunista d’occidente”, della tradizione socialista e della cosiddetta nuova sinistra non rimane altro, nei lavori parlamentari, che qualche sparuta traccia, qualche provvedimento, il più delle volte strumentale e/o inattuato, e qualche voce inascoltata. Dobbiamo prendere atto che questo è l’esito doloroso ma inevitabile della via italiana al socialismo, iniziata con la svolta di Salerno e, svolta dopo svolta (a destra), finita per i proletari nella tragedia di un vicolo cieco. Di quel compromesso tra il movimento operaio, la sua rappresentanza politica e le classi dominanti, una volta piegato e frantumato il movimento operaio, è rimasto ben poco: qualche scaglia di stato sociale in via di smantellamento, una Costituzione di fatto inapplicata, una memoria gloriosa ed eroica di lotte e di grandi sacrifici che gran parte degli italiani ignora e di cui non sa che farsene. Il taglio dei parlamentari non fa altro che sancire la fine di un sistema rappresentativo che era alla base di quel compromesso istituzionale.

Anche in questo caso, l’esito del referendum non muterà la condizione di frammentazione della sinistra né darà alla dispersa classe degli sfruttati uno strumento di difesa e di ricomposizione.

 

Le conseguenze immediate. In ogni caso, il prossimo referendum popolare è destinato ad avere subito delle ricadute sugli equilibri politici e sugli assetti parlamentari. I partiti e le grandi organizzazioni di massa del dopoguerra non esistono più. Il loro posto è stato preso da loschi comitati di affari privi di idealità e di progettualità, dominati dal potere assoluto dei tecnocrati della comunicazione, delle segreterie e dei leader. La diminuzione del numero dei parlamentari non farà che aumentare il potere di questi ultimi e accentuare questa deriva, rendendo più feroci e barbari i conflitti interni, più ignobili i trasformismi, più lontana e incomprensibile la “politica” per chi sta fuori dal palazzo.

Il parlamento è stato umiliato e svuotato di buona parte della sua centralità. L’assenteismo, la presenza sfacciata degli inquisiti, la bassa statura morale e/o culturale di molti dei suoi componenti, le commissioni, i regolamenti, l’organizzazione dei lavori, l’invadenza dell’esecutivo nella sfera legislativa con la incessante decretazione governativa e il continuo ricorso alla fiducia ne hanno fatto uno strumento sempre meno adatto a svolgere in maniera dignitosa la sua funzione. La diminuzione del numero dei parlamentari, oltre a non modificare questi caratteri di fondo, aprirà, in un momento di emergenza e instabilità, una fase, insidiosa e caotica, dagli esiti imprevedibili, necessaria per adeguare la legge elettorale e i regolamenti parlamentari alla nuova composizione delle due camere.

La partecipazione elettorale è andata via via scemando tanto che ormai molti organi elettivi sono espressione di piccole minoranze in rapporto a un elettorato inerte e sfiduciato. Non si vede come un numero minore di parlamentari, ancora più liquidi e distanti dagli elettori, distaccati dai territori, convinti di essere inamovibili, ancora più succubi dell’esecutivo, con l’arroganza loro conferita da un balzano meccanismo di selezione, possano in qualche modo modificare questa tendenza.

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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