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ANTONIO GRAMSCI E LA TORINO D’INIZIO NOVECENTO

di Marco Travaglini

Nell’autunno del 1911 il Collegio Carlo Alberto di Torino bandì un concorso riservato a tutti gli studenti poveri licenziati dai Licei del Regno. Venivano offerte trentanove borse di studio, ciascuna con una dotazione di settanta lire al mese per dieci mesi. Un’iniziativa ritenuta meritoria, con l’obiettivo di consentire l’accesso all’Università anche a chi non disponeva dei mezzi finanziari necessari per mantenersi gli studi e vivere nella città dell’auto.
Antonio Gramsci fu uno dei due studenti di Cagliari ammessi a sostenere gli esami a Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo», scrisse. Raggiunse la città subalpina con 55 lire in tasca poiché aveva «speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle cento avute da casa». Si iscrisse alla Facoltà di Lettere. A quel tempo le aule si trovavano nell’attuale palazzo del Rettorato. Gramsci non si limitò a frequentare quei corsi e seguì con interesse anche le lezioni tenute a Giurisprudenza da Einaudi e Ruffini. Vivere a Torino era un’impresa: le settanta lire
al mese non bastavano nemmeno per le spese di prima necessità.
Oltre alle tasse universitarie, versava venticinque lire al mese per l’affitto di una stanza al n. 57 di Lungo Dora Firenze, a meno di un chilometro da Porta Palazzo. Tra le spese andavano conteggiate, oltre alle di prima necessità come i pasti («non meno di due lire alla più modesta trattoria»), anche la legna e il carbone per riscaldarsi. Non possedeva neppure un cappotto e scrisse a casa che «la preoccupazione del freddo» non gli permetteva di studiare perché «o passeggio nella stanza per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata».
Antonio Gramsci, tenace e risoluto, sardo nato ad Ales il 22 gennaio 1891 (a quel tempo provincia di Cagliari, ora di Oristano), era ostinato e, studiando all’ombra della Mole, si affermò come uno dei più grandi e originali pensatori del Novecento. Svolse un’intensa attività giornalistica, diventò uno dei più prestigiosi e importanti dirigenti del movimento operaio e socialista. La ricca biografia dell’autore dei “Quaderni del carcere”, una delle pietre miliari della letteratura e della teoria politica del “secolo breve”, è nota e la si può ripercorrere per sommi capi.
Contribuì alla fondazione del Partito comunista d’Italia (a Livorno, nel gennaio 1921) diventandone cinque anni dopo il segretario generale e, nel 1924, del giornale “l’Unità”, «quotidiano degli operai e dei contadini». Deputato dal 1924, venne arrestato due anni dopo nonostante l’immunità parlamentare.
Processato dal regime fascista nel 1928 e imprigionato nel carcere di Turi (Bari) fino al 1933, quando, gravemente malato, fu trasferito in una clinica di Formia e poi alla casa di cura Quisisana di Roma dove morì a 46 anni, il 27 aprile 1937. Tra Gramsci e Torino vi fu un profondo legame, reso evidente anche dai luoghi dove visse e operò. La mappa della toponomastica gramsciana può idealmente partire dall’edificio al n.15 di Piazza Carlo Emanuele II, nota ai torinesi come “piazza Carlina”. In questo stabile nel cuore di Torino, oggi diventato il lussuoso Hotel Carlina, è ospitata “Casa Gramsci”, uno spazio di due vetrine, tra via Maria Vittoria e via San Massimo, aperto al pubblico nel luogo in cui Gramsci visse dal 1913 al 1922.
Un’altro luogo simbolico si trova al n.7 di via dell’Arcivescovado. In quel punto, a poca distanza dall’incrocio con via XX Settembre, su uno dei muri dell’edificio che ospitò anche la casa editrice Einaudi, il 27 aprile del 1949 venne posata una lapide firmata “Torino memore” sulla quale si legge questa scritta: «la forte volontà/ e la mente luminosa/ di Antonio Gramsci/ stretti attorno a lui/ gli operai torinesi/ contro la barbarie/ fascista prorompente/ “L’Ordine Nuovo”/ stendardo di libertà/ qui nella bufera/levarono e tennero fermo». Il linguaggio, elevato e aulico, rammenta che quel palazzo dov’era ubicata la redazione dell’edizione piemontese de “L’Avanti!” ospitò la redazione de “L’Ordine Nuovo, pubblicazione di cultura socialista fondata il primo maggio del 1919 da Gramsci e altri intellettuali socialisti come Terracini, Togliatti e Tasca.
Il giornale svolse un ruolo importante a Torino, culla dell’industrializzazione italiana, in quello che gli storici ribattezzarono il “biennio rosso”, tra il 1919 e il 1920, dando voce al movimento dei Consigli di fabbrica. In quei «due grandi camerini» di via dell’Arcivescovado («in cui lavoravano tutti i redattori e i cronisti», come ricordò Palmiro Togliatti ) si può immaginare come si sviluppassero i dibattiti culturali, il fervore delle idee e le passioni di quegli anni. E’ probabile che in quelle stanze Gramsci scrisse per “La città futura”, numero unico pubblicato nel febbraio del 1917 a cura della Federazione giovanile piemontese del Partito Socialista, il suo “grido” contro l’indifferenza.
Un testo lucido, a tratti aspro, con un infiammato J’accuse, un grido dell’anima: «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti... L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza… Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti».

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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