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NON DIMENTICHIAMO I CRIMINI NAZIFASCISTI IN JUGOSLAVIA

“Testa per dente” s’intitola la mostra sui crimini di guerra nazifascisti sul confine orientale allestita a Verbania dalla Casa della Resistenza e dalla Stella alpina. Il titolo viene da una circolare, la famigerata «3 C» del 1 marzo 1942, tristemente nota a chi si sia occupato dei territori balcanici invasi dall’esercito italiano. In quel documento, emanato da Mario Roatta (1887-1968), il comandante della II armata italiana spronava ufficiali e soldati a rispondere a qualsiasi atto di ribellione delle popolazioni non secondo il principio pur barbarico del «dente per dente» (la legge del taglione del codice Hammurabi…) ma secondo quello terroristico di una «testa per dente». Che cosa s’intendesse per «testa» lo aveva ben spiegato il governatore del Montenegro, il generale Alessandro Pirzio Biroli (1877-1962), il quale in un suo bando del 12 gennaio 1942 avvertiva che, per ogni ufficiale italiano ucciso, sarebbero stati passati per le armi cinquanta civili e, per ogni soldato italiano ucciso, sarebbero stati fucilati dieci montenegrini.
La mostra, attraverso 18 pannelli, documenta le vicende dell’occupazione nazifascista
dei Balcani con particolari approfondimenti sulla Slovenia e sui campi d’internamento ed è stata curata da Poli Vice con la collaborazione di Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan e Sandi Volk.
L’inaugurazione della mostra è stata nel Giorno del ricordo, statuito dalla legge n. 92 del 2004, un provvedimento imposto dall’allora governo Berlusconi e incredibilmente approvato dalla Camera con una maggioranza bulgara di 502 sì, 15 no e quattro astenuti. Del tutto simile fu la votazione del Senato. Il giorno previsto dalla legge per la celebrazione è stato il 10 febbraio. In quella data, nel 1947, i rappresentanti del governo italiano firmarono a Parigi il Trattato di pace che chiudeva la tragedia di una guerra di aggressione voluta dalla corona e dal fascismo e finita nel fango e nel sangue. Vale la pena di ricapitolare i contenuti dell’accordo del 1947. L’Italia non solo perdeva le colonie e alcuni territori di confine (a ovest per la rettifica del confine con la Francia; a est, per la cessione dell’Istria e altri territori alla Jugoslavia e l’occupazione alleata di Trieste), ma era anche condannata al pagamento di ben 360 milioni di dollari di danni di guerra. Inoltre, il governo italiano s’impegnava a rispettare i diritti umani, a proteggere partigiani e resistenti da ritorsioni e sanzioni, ad arrestare e consegnare i criminali di guerra e a contrastare qualsiasi tentativo di ricostituire forze nazifasciste. Non c’è dubbio che il 10 febbraio sancisca le atroci e vergognose responsabilità del regime fascista nei confronti della comunità internazionale e del popolo italiano.
Invece, con la legge 92/2004, la destra estrema intese contrapporre al Giorno della memoria quello del Ricordo e si preparò a scatenare un’altra campagna di odio contro la Resistenza e soprattutto contro la componente comunista delle lotte di liberazione. Così, nel solo 2004, lo stato italiano ha stanziato quasi 400 mila euro per sostenere un’operazione di revisionismo storico gravata di un vieto revanscismo il più delle volte nutrito di grossolane menzogne. Per fare un solo esempio, nella mostra di Verbania, è finalmente ricollocata al suo posto la fotografia dei cinque contadini fucilati a Dane il 31 luglio 1942 dai soldati italiani, un’immagine nella quale, sui nostri media, gli slavi venivano presentati come italiani infoibati!
Ogni operazione revisionista parte da una decontestualizzazione. Un episodio viene isolato nel tempo (8 settembre 1943 e 10 febbraio 1947), circoscritto nello spazio (Istria, Fiume e Dalmazia), staccato dal contesto storico e, così denudato, manipolato a piacere.
Invece, quegli stessi avvenimenti, reinseriti nel loro tessuto, raccontano una storia ben diversa. La destra parla di decine di migliaia, quando non di centinaia di migliaia di “màrtiri delle foibe”. Per quanto sia crudele e ingiusta la discussione sull’entità del disastro, le cifre vanno prima di tutto ricondotte dalle falsificazioni propagandistiche a una dimensione reale che, per la storiografia ufficiale, si attesta sugli 11-12 mila infoibati. Si tratta in ogni caso, come di solito capita in queste drammatiche circostanze della storia, di una stima, mentre le vittime rigorosamente documentate sono di gran lunga inferiori. La destra scaglia il suo odio contro i “partigiani comunisti titini” per infangare tutta la Resistenza. Anche qui, bisogna precisare che non si sta parlando di qualche banda di irregolari ma di un Esercito di liberazione nazionale che, raggiungendo nel 1945 gli 800 mila effettivi, fu una delle forze più ragguardevoli e meglio organizzate degli alleati. Né bisogna scordare che le popolazioni jugoslave furono le uniche a liberarsi dagli invasori nazifascisti con le loro forze senza l’apporto determinante di altri eserciti. Si trattò dunque per il nazifascismo di una sconfitta umiliante: nessuna sorpresa che continui a bruciare per i neofascisti. Infine, tanto per chiarire le proporzioni, si deve ricordare ai disinformati che l’invasione della ex Jugoslavia da parte di Hitler e Mussolini fece 1,7-1,8 milioni di vittime.
Quello che successe sulla frontiera orientale tra ‘43 e il ‘47 è solo l’ultimo anello di una pesante catena che si snoda dal 1919, quando l’amministrazione italiana si sostituì a quella, secolare e molto più efficiente, dell’impero asburgico. Nonostante le iniziali promesse dell’autorità di tutelare le minoranze, le squadracce fasciste ebbero campo libero nel distruggere il movimento operaio, gli spazi di espressione delle minoranze e di incontro tra le diverse culture. Il fragile equilibrio di convivenza raggiunto durante la dominazione asburgica andò in frantumi e gli italiani assunsero la posizione di dominatori. Con la riforma Gentile furono avviate a rapida chiusura le scuole slovene. Fu proibito l’uso della lingua slovena. Gli stessi nomi di persona furono italianizzati. Inoltre, nazionalisti e fascisti fecero di tutto per destabilizzare il fragile regno di Jugoslavia e allargare la sfera d’influenza italiana nei Balcani. Il 9 ottobre 1934, un gruppo di fuoco partito dall’Italia uccise a Marsiglia il re di Jugoslavia Alessandro I Karađorđevic e il ministro degli Esteri francese Louis Barthou. In quello stesso anno, si calcola che fossero circa 500 i terroristi slavi, in gran parte croati, che si addestravano militarmente in Italia sotto la protezione del fascismo.
Il 6 aprile 1941, la Germania nazista, senza nemmeno dichiarare guerra, invase i Balcani e l’Italia fascista, senza trattato di pace, procedette all’annessione di Slovenia, Dalmazia, Montenegro e Isole Ionie. Il confine fu stabilito da Hitler alla Sava. Il fuhrer aggiungeva a Praga e Vienna il controllo di Belgrado, gli avamposti necessari per scatenare l’invasione dell’URSS: l’operazione Barbarossa scattò infatti subito dopo, il 22 giugno.
Dopo l’8 settembre 1943, la sanguinosa occupazione italiana diventò il più umiliante dei collaborazionismi. Gli ultranazionalisti saloini giustificarono come necessaria la rimozione che i nazisti fecero del monumento a Nazario Sauro a Capodistria e, a Gorizia, continuarono a esaltare i camerati di Germania anche quando avevano permesso ai domobranci di distruggere il monumento ai caduti della Grande guerra. Alla repubblichina ultranazionalista di Salò i nazisti tolsero Trentino, Tirolo, la provincia di Belluno, il Friuli (consegnato ai cosacchi filonazisti), la Venezia Giulia, Trieste, l’Istria e i territori invasi nel 1941, sprezzati dai nazisti come aree di “impurità razziale”.
Le foibe sono l’ultimo anello di questa catena di crimini di guerra, stragi e genocidi. Purtroppo, non furono l’unico “costo” che il nostro paese fu costretto a pagare. Italiani erano quegli operai internazionalisti che furono vittime del fascismo di frontiera. Italiane erano le vittime del tribunale speciale. Italiani erano i partigiani massacrati, tra cui una delle prime donne cadute nella Resistenza, Alma Vivoda. Enorme fu il numero degli internati militari. Nel 1943, erano di stanza nei Balcani 655 mila soldati italiani: 393 mila di questi finirono in Germania, trasformati in schiavi di Hitler.
Nel 1910, sotto il tallone asburgico, Trieste contava 230 mila abitanti, di cui circa 2/3 italiani. Oggi, a più di un secolo di distanza, Trieste a malapena supera i 200 mila abitanti. Anche questo è un dato su cui varrebbe la pena di riflettere per fare fino in fondo i conti con le ambizioni imperialiste di un capitalismo straccione e di quella sua maschera tanto grottesca quanto feroce che fu il fascismo.

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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