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BORGOMANERO: LA DISOCCUPAZIONE FA SPETTACOLO

Per tutta la giornata di martedì scorso, un angolo di piazza Martiri è stato consacrato a McDonald’s, il moloc del fast food. Qua e là, alcuni chioschi sui quali dominava ben visibile il logo della multinazionale americana. Dentro ai gazebo, i sacerdoti del moloc, i selezionatori del personale, i macinatori delle “risorse umane”. Attorno, mescolati ai curiosi, ragazze e ragazzi, qualcuno magari con qualche capello bianco, tutti in cerca più o meno disperata di lavoro.
McDonald’s intende aprire un locale nelle vicinanze del casello autostradale sulla strada per Arona e, oltre alla carne trita per confezionare hamburger e hot dog, ha bisogno delle energie di una quarantina di corpi viventi da spremere secondo le più spietate logiche del mercato globale. Pare che per quei 40 posti di lavoro si siano presentati on line circa 800 concorrenti. Molti sono stati respinti perché abitano troppo lontano dal futuro punto vendita. I 70 futuri adepti selezionati – nel numero sarebbero compresi anche i supplenti, pronti a rimpiazzare o aiutare i titolari in qualsiasi circostanza e, all’occorrenza, in qualsiasi ora del giorno e della notte – sono stati convocati in piazza a Borgomanero quasi a celebrare un rito pagano e a inchinarsi davanti alla terribile potenza del dio-mercato.
Ci sarebbe da chiedersi per quale motivo una selezione del personale debba essere fatta sulla pubblica piazza centrale di una cittadina. È un’immagine che inevitabilmente richiama tristemente alla memoria gli anni bui della grande depressione oppure quelli del nostro immediato dopoguerra, quando il capo si presentava all’inizio della giornata e, davanti al gruppo dei disoccupati che si assiepava ai cancelli, diceva: «Tu sì e tu no! Tu oggi lavori e tu puoi tornartene da dove sei venuto». È un’immagine che richiama alla memoria quello che oggi succede sulle nostre piazze dove si presentano i caporali e, con la loro spada di fuoco mafiosa, separano i “privilegiati” destinati a spezzarsi la schiena per tutta la giornata in cambio di pochi sporchi euro dagli altri.
Naturalmente, niente di tutto ciò può essere imputato a McDonald’s. Il moloc del fast food è gentile, è premuroso, si presenta rispettoso delle leggi, con un’immagine aziendale fascinosa e accattivante, con le guance rosee e paffute e, soprattutto, ci fa il favore di regalarci nel pieno della crisi ben 40 posti di lavoro, nuovi e fiammanti. Volete mettere: non sentite anche voi l’orgoglio del privilegio concesso? Non vi sentite forse spinti da un profondo moto di gratitudine? Non sentite urlare dentro di voi: andiamo anche noi a mangiare da McDonald’s! E poi c’è tutto il fascino dell’inglese: infatti, quello che è capitato in piazza martedì, lo chiamano “job tour”.
Invece, noi abbiamo sentito una stretta al cuore. Quel “job tour” non è altro che un’operazione di marketing, uno sfruttamento a fini promozionali e pubblicitari del bisogno di lavoro e delle piaghe sociali che dilaniano la nostra società. E poi, per noi, dietro, e prima, di ogni “job”, c’è un “worker”, un uomo o una donna con la loro dignità umana e con i loro diritti. Tutti hanno potuto vedere il volto gentile del “job tour”, ma quanti vedranno le condizioni lavorative reali dei lavoratori di McDonald’s? Ce lo dicono quegli stessi lavoratori della catena che hanno avuto il coraggio di denunciare. I turni e i ritmi di lavoro massacranti; i tempi strettissimi, sempre di corsa, mai un secondo fermi a riprendere fiato; lo stress; la reperibilità e la flessibilità totale della forza-lavoro; i doppi turni, a volte dopo poche ore; i riposi che non ruotano o saltano; sabati, domeniche e festività senza amici, senza famiglia e senza riposo; i contratti sempre a pochi mesi, sempre con l’ansia e il ricatto del possibile non rinnovo; le pause che saltano o che non esistono; il cervello che deve pensare come loro pensano; il salario che è comunque inadeguato e a volte puntuale come i treni; la fiera dei voucher; e poi, quando non ce la fai più, sei uno straccio da buttare e avanti un altro…
McDonald’s è una catena di fast food, ma è anche una catena al piede dei lavoratori. E le catene, prima o poi, si spezzano.

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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