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IL PENSIERO DI GRAMSCI E IL XXI SECOLO / Reprint

È possibile pensare la rivoluzione comunista nel secondo millennio? Lo è. Anzi è inevitabile sia per dare continuità a un lungo e appassionante dibattito teorico sia per la necessità di un riscatto materiale e morale dell’umanità di fronte alle devastazioni della finanza globale e del capitalismo. In questo modo si può sintetizzare il significato del convegno “Il pensiero di Gramsci e il XXI secolo” organizzato da Casa Gramsci a Orta sabato 26 novembre. Un pubblico numeroso e attento, quasi un centinaio di compagne e compagni, ha stipato le due stanzette al pianoterra di palazzo Ubertini per ascoltare e discutere le relazioni di Angelo D’Orsi, docente di Storia del pensiero politico contemporaneo all’Università di Torino, Francesca Chiarotti, collaboratrice alla Commissione per l’edizione nazionale degli scritti di Gramsci, Mimmo Boninelli, direttore dei “Quaderni dell’archivio della cultura di base” di Bergamo, e Sergio Bologna, già docente di Storia del movimento operaio in diverse università e fondatore della rivista “Primo Maggio”. Nella numerosa partecipazione al convegno vanno colti sia un segnale di attenzione sia una domanda di vera riflessione e formazione politica di fronte agli inconcludenti balbettii sull’emergenza economica e al desolante vuoto culturale che solo è capace di offrire una “sinistra” riconvertita al pensiero “liberal”, più che mai incollata alle sedi istituzionali della politica.
Cesare Bermani in veste di coordinatore ha aperto i lavori sottolineando la specificità di Gramsci teorico della “guerra di posizione”, l’unica possibile nel conflitto di classe nell’occidente attuale dopo la fine dell’esperienza della rivoluzione sovietica.
Angelo D’Orsi ha tratteggiato i contorni della “Gramsci renaissance”, la riscoperta a livello internazionale a partire dagli anni ’90, della potente attualità del pensiero gramsciano, un pensiero, ha sottolineato lo storico, rimasto coerentemente, fino alla morte di Gramsci stesso, rivoluzionario e modello di perfetta coerenza morale. Naturalmente, ci sono in questo itinerario, che muove dalla prima formazione del futuro dirigente del movimento operaio in Sardegna, attraversa dal 1911 la sua permanenza a Torino e si conclude con la tragica morte del 1937, elementi di continuità e di discontinuità. Gramsci ragiona sulla prospettiva della rivoluzione italiana, adeguandola ai rapidi mutamenti del quadro politico e dei rapporti di forza tra le classi, a partire da un punto di vista spiccatamente nazionale. Tuttavia, ha sottolineato D’Orsi, in Gramsci l’ambito nazionale è solo un punto di partenza per andare al di là dei ristretti confini di un singolo stato borghese. Inoltre, gli strumenti di analisi della realtà impiegati da Gramsci sono fondamentalmente storici sia per quanto riguarda la collocazione delle grandi questioni nazionali, come per esempio quella meridionale oppure il risorgimento, sia per quanto riguarda il ripensamento di essenziali categorie di pensiero come “rivoluzione passiva”, che Gramsci mutua da Vincenzo Cuoco, “egemonia”, “blocco storico” ecc.
“Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza” recita un noto passo gramsciano che rimarca l’importanza del sapere e della cultura nella preparazione di un processo rivoluzionario. Di qui il confronto incessante, sempre vigile e critico, di Gramsci con l’insieme della cultura italiana, all’interno della quale mette a nudo le falsificazioni ideologiche e i meccanismi della propaganda di regime, e con gli intellettuali del suo tempo, di cui analizza la produzione scientifica, l’onestà intellettuale e la posizione politica.
Sergio Bologna si è soffermato su di un aspetto circoscritto degli scritti di Gramsci, cioè il “Quaderno 22” su americanismo e fordismo, passato pressoché inosservato all’atto della pubblicazione dei “Quaderni dal carcere”, ma ritornato di grande attualità negli anni ’70, a ridosso dell’esplosione delle grandi lotte operaie e della trasformazioni dei rapporti di fabbrica con la diffusione della figura sociale dell’operaio-massa.
Francesca Chiarotto ha ricostruito l’abile regìa togliattiana nella prima scoperta del gramscismo avvenuta nell’immediato dopoguerra attraverso la pubblicazione degli scritti del pensatore comunista, tassello fondamentale nella costruzione e nell’accreditamento del “partito nuovo”. Molto accortamente Togliatti fece precedere nel 1947 la pubblicazione einaudiana di un’ampia scelta delle “Lettere dal carcere” in modo da far conosce in prima istanza l’uomo, la statura umana ed etica del dirigente comunista e anche il valore letterario dei suoi scritti. Poi, tra il 1948 e il 1951, seguì la pubblicazione secondo uno schema tematico dei sei volumi dei “Quaderni dal carcere”, attraverso un’operazione indubbiamente arbitraria da un punto di vista filologico ma utile all’allargamento del dibattito storico e politico sul pensiero gramsciano e alla sua diffusione.
La relazione di Mimmo Boninelli ha proposto un’interpretazione laterale ma alquanto suggestiva dell’immagine gramsciana della città, soffermandosi in particolare sugli scritti, il più delle volte articoli di giornale, che delineano le fisionomie urbane di Torino, Milano e Napoli. Gramsci non si ferma alla superficie della società urbana, ma scava in profondità. Si addentra nelle “corti dei miracoli” dei rioni popolari e delle barriere operaie; s’interroga sulla serietà d’impronta quasi calvinista della provinciale Torino; valuta la modernità di Milano, vera capitale della dittatura borghese; osserva il silenzio di Napoli, grande metropoli priva però di industria e impossibilitata a produrre egemonia. Non sfuggono all’acuta analisi gramsciana i significati più riposti come quelli contenuti nel cambiamento dello stradario torinese, quando il volto della città, i nomi delle vie che portavano tutto il carico degli antichi mestieri, del lavoro e del mondo popolare, viene ricoperto da una maschera formata dai nomi dei personaggi del risorgimento, oppure come l’operazione che durante il fascismo portò a un progressivo inaridimento della canzone napoletana.
Nel corso del dibattito sono stati affrontati altri aspetti dell’itinerario gramsciano dal blocco storico al rapporto complesso con Torino, l’impatto drammatico che il giovane Gramsci ebbe con la durezza della città industriale, quindi la sua “torinesizzazione” e il suo inglobamento nella famiglia socialista e operaia; dalla rottura con Togliatti e Stalin alle spaventose condizioni di detenzione nelle galere del fascismo tra il 1926 e il 1937. È stata sottolineata anche la straordinaria capacità di ascolto di Gramsci, un ascolto attento, anche del più umile degli operai con cui rimaneva a parlare fino a notte nella sezione Centro del Partito Socialista torinese, un segno di rispetto nei confronti della sofferenza dei proletari, lui che più di molti aveva sofferto da sempre. Ecco, la capacità di ascoltare: una grande dote rivoluzionaria che la sinistra ha dimenticato e che dovrebbe recuperare al più presto.

2 dicembre 2011

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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