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AMIANTO: IL SERIAL KILLER DEL CAPITALE / Reprint

ATTENZIONE: UCCIDE SILENZIOSAMENTE

L’esposizione, l’ingestione e l’inalazione di fibre di amianto, un minerale fibroso e inerte che presenta un’alta resistenza sia al calore sia a vari agenti chimici, comportano il rischio di ammalarsi di asbestosi, di carcinoma polmonare e di mesotelioma pleurico, una neoplasia difficilmente curabile che porta alla morte per soffocamento. La relazione tra queste malattie delle vie respiratorie e l’amianto è stata definitivamente accertata dalla comunità scientifica internazionale tra il 1955 e il 1960, quindi mezzo secolo fa. Mentre è sufficiente un breve periodo di esposizione alla sostanza cancerogena, i danni per la salute si possono manifestare dopo periodi di tempo molto lunghi, compresi tra i dieci e i 40 anni.
Nel XX secolo, l’amianto, facilmente lavorabile, ha trovato applicazioni in numerosissime attività industriali. Nel campo dell’edilizia, fu usatissimo l’eternit, un impasto di cemento e amianto la cui produzione iniziò nel 1903. In eternit, sono stati realizzati tubi per acquedotti e canne fumarie, tegole, lastre di rivestimento, ondulati, vasche e serbatoi, fioriere e persino sedie. Insomma, l’amianto è stato uno degli alleati più preziosi del cosiddetto “partito del cemento”, della speculazione edilizia e del sacco urbanistico consumatosi nel Belpaese dal boom economico in poi, della cementificazione delle coste, delle colline e degli alvei fluviali che parte non piccola ha avuto e continua ad avere nei ricorrenti disastri “naturali” che colpiscono l’Italia. Nell’eternit, l’amianto si presenta a matrice compatta e le sue fibre si disperdono in genere dopo un periodo di tempo abbastanza lungo, quando la lastra, attaccata da agenti atmosferici, da muschi e licheni o per altri motivi, inizia a sfaldarsi. Va tuttavia osservato che, essendo cessato attorno al 1994 il commercio di questi materiali, i manufatti in eternit attualmente in uso si avvicinano alla fase critica in cui possono rilasciare le fibre più piccole, quelle più pericolose perché in grado di penetrare facilmente nell’apparato respiratorio umano.
D’altra parte, con l’impiego di amianto, sono stati realizzati coibentazioni di tubi, serbatoi, impianti chimici e industriali e moltissimi componenti e manufatti utilizzati nei cantieri navali, nelle costruzioni ferroviarie, nell’industria tessile e dell’auto, senza contare l’attività estrattiva del minerale che avviene in cave a cielo aperto. Questo impiego dell’amianto, cosiddetto a matrice friabile, è pericolosissimo perché, una volta che l’involucro contenente il minerale si altera o si rompe, le fibre cancerogene vengono liberate nell’aria.
Fino a una ventina di anni fa la normativa italiana sulla lavorazione dell’amianto era assai blanda e prescriveva l’uso di mascherine e protezioni oppure la separazione delle lavorazioni nocive dalle altre, misure del tutto insufficienti a garantire la sicurezza degli operai e delle popolazioni esposte alle polveri di questo insidiosissimo agente. Nonostante già nel 1983 due direttive della Comunità europea indicassero decisamente la strada dell’eliminazione di questa sostanza dai processi industriali, solo nel 1992 questo principio è stato recepito nel nostro paese con la legge n. 257, un provvedimento che tuttavia presenta limiti, incertezze e lacune. In questo modo, il nostro paese ha “goduto” dello sgradito supplemento di un altro decennio di tempo durante il quale il killer silenzioso ha potuto legalmente e liberamente aggirarsi per i polmoni della popolazione italiana a tutto vantaggio dei padroni che hanno continuato ad accumulare profitti sulla pelle della gente e degli operai.
Oggi, si manifestano in gran parte gli effetti delle esposizioni alla sostanza cancerogena avvenute attorno agli anni ’60 e ’70. Gli ammalati di oggi a volte erano bambini in quegli anni e il loro organismo ancora in formazione è stato più facilmente colpito. Tuttavia, non è ancora stata raggiunta la massima diffusione delle malattie provocate da questa sostanza cancerogena: per esempio, il picco di ammalati di mesotelioma, la più diffusa e caratteristica tra le patologie provocate dall’amianto, è atteso attorno agli anni 2015-2020. Nel solo periodo compreso tra il 1988 e il 1997 sono stati registrati in Italia oltre novemila morti per tumore maligno alla pleura: Piemonte e Lombardia risultano le regioni più colpite con 1.310 e 1.787 decessi rispettivamente. Tuttavia, bisogna tenere conto che molte vittime non sono state ricollegate all’amianto perché non hanno mai saputo né sono mai state informate di lavorare a contatto con questa pericolosa sostanza. L’Associazione Italiana degli Esposti all’Amianto calcola che attualmente i morti per amianto si aggirino attorno ai quattromila ogni anno mentre i lavoratori che hanno fatto ricorso ai benefici previdenziali previsti dalla citata legge 257/1992, per accedere ai quali è richiesto un periodo di esposizione all’amianto di almeno dieci anni, sono circa 600.000.
In Italia, le aree e le province a maggiore rischio sono quelle di Monfalcone, Trieste, Genova, La Spezia, Massa Carrara, Livorno, Pistoia, Taranto, Siracusa e ovviamente Alessandria che rappresenta, per la presenza per 80 anni della Eternit, un caso per gravità senza uguali nel mondo. L’Eternit, la fabbrica della morte di Casale Monferrato e di Cavagnolo, nonché la miniera di Balangero (dove si giunse a estrarre fino a 150.000 tonnellate di amianto all’anno) assegnano al Piemonte un poco invidiabile record nell’esposizione ai rischi da amianto. Questo triste primato purtroppo è destinato a consolidarsi con gli scavi della TAV e del nuovo traforo del Frejus che richiedono l’attraversamento per decine di chilometri (la galleria più lunga prevista è di 53 km) di montagne ricche, oltre che di uranio, di amianto, le cui fibre verrebbero disperse durante i lavori, il trasporto e lo stoccaggio delle enormi quantità di marino. Nelle rocce piemontesi il minerale è ovunque abbondante e lo conferma, proprio in questi giorni, la decisione dell’ENEL di smantellare il cantiere di Crevoladossola poiché, durante i lavori di scavo, sono stati ritrovati nella montagna numerosi banchi di amianto.

 

LA FABBRICA DEL CANCRO DI CASALE MONFERRATO

A Casale Monferrato, in pieno centro cittadino, tra il Castello, il Duomo e la Sinagoga, avevano sede dal 1906 gli stabilimenti della famigerata Eternit, la cui produzione cessò, a causa delle lotte operaie che ne imposero la chiusura, solo nel 1986, quando, nel resto del mondo, già da qualche anno l’utilizzo dell’amianto era stato rimpiazzato da altri materiali.
In fabbrica e fuori dalla fabbrica, poiché potenti aeratori disperdevano nell’aria le polveri delle lavorazioni e i camion che trasportavano a cassoni scoperti la materia prima erano in continuo movimento dalla stazione ferroviaria allo stabilimento, i contagiati furono migliaia, mentre a oggi i morti accertati per causa dell’amianto hanno superato il migliaio. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, a Casale, l’incidenza del meostelioma è stata di 24 volte superiore a quella prevista e ha colpito non solo gli operai ma anche i loro famigliari e gli abitanti che con l’amianto non avevano nulla a che fare.
I padroni svizzeri di Eternit hanno potuto godere dell’indulto votato dal parlamento il 29 luglio 2006, ma, il 4 aprile 2009, si è aperto davanti al tribunale di Torino il megaprocesso che riguarda 2900 parti offese in rappresentanza di oltre duemila vittime, processo in cui la stessa INPS, che ha già sborsato 246 milioni di euro a titolo di indennizzo alle vittime, si è costituita parte civile contro la proprietà, rappresentata da Stephan Ernest Scmidheiny e Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne.

IL CASO MONTEFIBRE A VERBANIA

Anche alla Montefibre di Pallanza tra gli anni Sessanta e Ottanta si sono verificate esposizioni all’amianto sia dirette da parte dei lavoratori sia indirette da parte dei famigliari che le avrebbero inalate per contatto con il congiunto. Infatti, è scientificamente provato che la contaminazione può avvenire comunemente vivendo insieme, per esempio, attraverso gli abiti di lavoro. Il processo alla Corte d’Appello di Torino per la morte di 12 lavoratori, dopo una precedente vergognosa sentenza che assolveva Montefibre, si è concluso con la condanna di 14 ex dirigenti dello stabilimento chimico, ma rimangono altri casi di una ventina di decessi le cui responsabilità devono essere ancora accertate e perseguite.
Fondamentale nel raggiungimento di questo risultato è stata la determinazione dei lavoratori uniti nel Comitato degli ex dipendenti Montefibre, di Medicina Democratica e della CGIL, mentre si sta valutando la possibilità di far nascere, sul modello di Casale, un’associazione dei famigliari delle vittime.

L’AMIANTO DELLA FIAT ALLA SAMPA DI BORGOMANERO

Nel 2003, lo SPreSAL (Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro) aprì un’inchiesta a carico della SAMPA di Borgomanero, accertando la morte per mesotelioma di quattro operai della fabbrica: Elena Fontana, Camilla Cerri, Maria Tozzini e Roberto Cerutti, il quale aveva lavorato alla SAMPA da giovane e per un solo anno ed è deceduto per ultimo verso la fine del 2008. In realtà, questi sono solo i morti ufficiali: altri lavoratori della SAMPA sono nel frattempo scomparsi per gravi malattie. Nessuno di loro sapeva di respirare la propria dose quotidiana di un veleno che non perdona e, non essendo stati informati né essendo stati effettuati controlli, le loro morti non sono ufficialmente ricollegate all’amianto. Questo conferma come l’esperienza vissuta dai lavoratori sia ben diversa e ben più drammatica da quella che le statistiche e i tecnici possono descrivere e accertare. Della pericolosità della situazione era invece perfettamente a conoscenza la SAMPA che, ancora in un recente comunicato stampa, ha dichiarato: “Ai primi dubbi sulla pericolosità dell’amianto, la FIAT stessa provvide all’immediata modifica di questo documento [di progettazione tecnica] e quindi dei materiali per la lavorazione, per eliminare ogni possibile rischio. Appena giunteci queste nuove direttive, noi ci siamo immediatamente adeguati.” Infatti nella prima metà degli anni ’70, la SAMPA entrò nell’indotto dell’auto acquisendo delle commesse dalla FIAT e dalla Piaggio che comportavano l’impiego e la lavorazione dell’amianto per la costruzione di distanziali per auto e moto. Lo stampo utilizzato conteneva resine e amianto come additivo e, durante la lavorazione, la pressa sollevava polveri che i lavoratori hanno inalato per anni. Per di più, a causa della mancanza di separazione tra i diversi reparti le micidiali particelle vagavano per lo stabilimento e venivano così respirate anche da tutti gli altri compagni di lavoro. Dei rischi corsi, gli operai non sono stati informati, né, dalle dichiarazioni della ditta, pare fossero rispettate le pur limitate misure di sicurezza allora previste dalla legge.
La SAMPA è rimasta attiva a Borgomanero dal 1939 fino ai primi anni ’90 quando gli impianti sono stati decentrati in comune di Cavallirio.

IL CASO BEMBERG

Nel mese di marzo 2009, è scoppiato il caso amianto della Bemberg.
A seguito del sopralluogo effettuato dai tecnici dello SPreSAL di Novara il 19 marzo, sono state rinvenute grandi quantità di amianto negli impianti, nei reparti di lavorazione, in alcuni fabbricati e addirittura a cielo aperto, sparsi su di una superficie di quasi 30 ettari occupata dall’ex colosso chimico.
Secondo la legge n. 252 del 1992, questi materiali nocivi avrebbero dovuto essere da lungo tempo rimossi e smaltiti tanto più che il sindacato aveva già avviato delle cause di lavoro per esposizione ai rischi dell’amianto che avevano interessato una quarantina di lavoratori, tra cui i meccanici che operavano a diretto contatto con questo materiale, per il periodo 1982-1992. Invece, nulla è stato fatto dall’azienda. Così gli operai hanno continuato per altri 17 anni a inalare la sostanza letale e, nel frattempo, già cinque lavoratori della Bemberg sono stati colpiti dal terribile mesotelioma e tre sono morti: l’ultimo, Giuseppe Piralli, deceduto alla fine di giugno, aveva lavorato nello stabilimento di Gozzano dal 1955 al 1963.
Le conseguenze immediate riguardano naturalmente anche l’attività produttiva che non potrà riprendere prima della totale bonifica dello stabilimento, i cui tempi sono valutati almeno in un anno e i cui costi attuali superano i 10 milioni di euro. Intanto, sono attesi per i primi di settembre i risultati definitivi delle analisi dei campioni prelevati dallo SPreSAL nello stabilimento di Gozzano. Rimane poi il problema della sicurezza. Il sindaco di Gozzano ha emesso il 28 aprile un’ordinanza che ha come scopo la messa in sicurezza degli impianti, gli interventi urgenti e la formulazione di un piano generale di bonifica. Per la custodia dello stabilimento, richiesta anche dalla Prefettura, sono addetti 18 operai che hanno continuato a lavorare senza essere pagati. Oltre all’amianto, all’interno della Bemberg si trovano altre sostanze pericolose come acido solforico, ammoniaca e soda caustica stivati in serbatoi e bacini di accumulo che vanno costantemente monitorati.
La grave situazione che è venuta alla luce alla Bemberg pone stringenti interrogativi che chiamano in causa la storia sindacale di questa fabbrica. Parte non piccola in questo disastro hanno avuto l’ideologia della “Santa Bemberg” e della pace sociale, l’ingiustificata e ampia fiducia che gli operai hanno riposto nelle scelte industriali del padronato, nel suo ipocrita paternalismo, nella presunta oggettività e onnipotenza della tecnologia e nel sindacato a cui hanno passivamente delegato la difesa dei propri interessi, diritti e salute. I risultati sono stati che, con l’appoggio dei gerarchi fascisti, la Bemberg prima ha potuto inquinare con gli scarichi il Lago d’Orta, uccidendolo biologicamente, e poi, tra ritardi e disattenzioni di autorità e sindacati, ha potuto spargere amianto minando la salute dei lavoratori e insidiando quella della popolazione per continuare ad accumulare i suoi sporchi profitti. Come il lago è stato risanato coi soldi della comunità, e in primo luogo dei lavoratori, allo stesso modo si finirà col procedere per smaltire i depositi incontrollati di amianto presenti nell’intero sito della Bemberg, per curare e indennizzare i lavoratori colpiti, assistere gli esposti e salvaguardare la salute dell’intera popolazione. Si avvicina dunque il tempo di tirare le somme degli ingenti “costi” e dei modesti “benefici” del capitalismo Bemberg e chiedersi se sia valsa la pena di barattare qualche decennio di un falso benessere, che in pochi mesi la crisi si è portato via, con la salute e la vita, le risorse naturali, la dignità e la coscienza di classe dei lavoratori.

AMIANTO OVUNQUE

Su tutto il territorio nazionale sono sparsi 32 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto. Ognuno è una fonte certa di contaminazione. In Piemonte, manca ancora un catasto completo dell’amianto, tra l’altro previsto dalla legge regionale n. 30 del 14 ottobre 2008, e le giacenze di materiali contenenti amianto sono ovunque. Per esempio, da un primo censimento dell’ARPA, risulterebbe che circa un quarto dei plessi scolastici sia interessato dalla presenza della sostanza cancerogena. Un esempio per tutti: i genitori dell’asilo nido di Gravellona Toce da tempo hanno iniziato una lotta per ottenere il trasferimento dei figli in un luogo sicuro poiché i tetti e le pareti dell’edificio che attualmente ospita la struttura disperdono particelle di amianto.
Moltissime altre coperture di edifici pubblici continuano a essere in amianto. Per esempio, a Novara, il Comitato spontaneo degli abitanti di piazza Pasteur ha raccolto firme per presentare una mozione in consiglio comunale al fine di rimuovere le coperture dei 15 fabbricati che formano il complesso dell’ex macello, la cui superficie raggiunge i 3-4mila mq.
Si calcola che ogni mq di queste lastre disperda nell’aria tre grammi di amianto ogni anno: un dato che ci fa capire quanto facilmente si possano raggiungere tonnellate di particelle disperse nell’aria che ogni giorno respiriamo.
L’eternit è ancora presente sui tetti di case private, capannoni, vecchie fabbriche e i proprietari più volte se ne disfano illegalmente con atteggiamento assolutamente irresponsabile abbandonandolo in discariche abusive anche di grandi dimensioni. Per esempio, nell’area commerciale di Trecate, sui primi di aprile, la Guardia di Finanza ha trovato un deposito abusivo di lastre di eternit nel quale erano stati interrate tonnellate di amianto. Un mese fa, a maggio, un’altra discarica abusiva è stata scoperta nella campagna fra Trecate e Sozzago. L’abbandono e l’interramento di questi pericolosi materiali comporta gravi rischi, poiché l’amianto non si degrada, è praticamente indistruttibile e, per circostanze fortuite e cause varie, potrebbe ritornare a contatto con l’aria disseminando il suo potenziale di morte.
Ancora più grave è lo smaltimento illegale di amianto a matrice friabile che, in passato, con la complicità delle organizzazioni mafiose, è stato “esportato” con altre sostanze tossiche e nocive provenienti dalle industrie del Nord nei paesi del Terzo Mondo, tra cui la Somalia.

ELIMINARE SUBITO L’AMIANTO

Contro l’amianto l’unico obiettivo possibile è la totale eliminazione attraverso la bonifica di tutti i manufatti e i siti, pubblici e privati, piccoli e grandi, che lo contengono e al più presto possibile. Esistono leggi nazionali e regionali che intervengono in questo campo e che devono essere applicate costringendo gli organi competenti a compiere il loro dovere. Solo in questo modo è possibile risparmiare vite umane, ulteriori rischi e danni.
D’altra parte, è necessario agire sul fronte delle vittime giungendo alla costituzione di un coordinamento di lotta per informare e sensibilizzare la popolazione e per affermare il principio che chi ha tratto profitti inquinando e uccidendo deve pagare tutto senza nessuno sconto. In ogni caso, non c’è da riporre eccessiva fiducia nella legge, che come detto è intervenuta con ritardi decennali e presenta ancora evidenti carenze, né nei tribunali e negli enti pubblici preposti che, per quanto animati da persone oneste e scrupolose, sono costretti ad agire con lentezza e a subire i ricatti e le limitazioni imposte dal potere. Solo la mobilitazione continua, la partecipazione in prima persona e il rifiuto della delega possono assicurare una reale difesa dei diritti e della salute dei lavoratori e delle popolazioni.

[dicembre 2009]

Pubblicazione non periodica a cura di ass. culturale Proposta Comunista - Maggiora (NO) - CF e PIVA 91017170035
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